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 2015  dicembre 02 Mercoledì calendario

Magnaschi fa il punto sul caso Chaouqui-Balda

Il Vatileaks 2.0, cioè l’ultima fuga di notizie finanziarie dal Vaticano, si è svolto sinora all’insegna del celebre motto di Ennio Flaiano che parlava di una «situazione grave ma non seria». Questa vicenda può essere analizzata da diversi punti di vista. Secondo me, il punto di vista non certo solo più pruriginoso, ma sicuramente più significativo, è analizzarlo attraverso la coppia (parliamo, per il momento, di tandem di lavoro) costituita da Francesca Immacolata Chaouqui e dal monsignore spagnolo Lucio Vallejo Balda. La protagonista principale, quella che mena il gioco, rimane però la Chaouqui, a proposito della quale ci si deve interrogare su come una ragazzotta senza arte né parte, una semplice pr («faccio eventi e tesso relazioni»), abbia potuto essere nominata (dal Papa in persona, tra l’altro) come componente della Commissione Cosea, cioè la Commissione della Santa Sede per gli affari economici, la cui gestione dovrebbe richiedere competenze finanziarie di altissimo livello, nessuna delle quali posseduta, nemmeno in dosi omeopatiche, dalla Chaouqui. La sua nomina alla Cosea corrisponde alla decisione di mettere una badante nella cabina di pilotaggio alla guida di un jumbo diretto a New York.
Qual è stato il sistema di selezione della Chaouqui? È semplice, quello più in voga a Roma, dentro e fuori le Mura Leonine. Si basa sulla scalata sociale. Sulle conoscenze giuste, sulle relazioni che contano, sulle maniglie anche millantate, sul chiacchiericcio ininterrotto e inarrestabile, sull’agitazione continua, sui giri di società. Il primo gradino affrontato dalla Chaouqui è stato quello di una contessa con un nome più lungo di un Tir. È la contessa Marisa Pinto Olori del Poggio, presidente della Fondazione i Messaggeri della Pace. Con la contessa, la Chaouqui stabilisce un ottimo rapporto, servizievole e apparentemente affidabile. Conquistata la fiducia della contessa capitolina, Francesca Immacolata è subito pronta ad affrontare il secondo gradino rappresentato dal cardinale Jean-Louis Tauran che, essendo amico della contessa, spalanca le porte alla carriera dell’italo-egiziana. Guadagnatasi la fiducia del cardinalone, la Chaouqui è pronta allora a essere presentata dal prelato a monsignor Lucio Vallejo Balda, un monsignore andaluso in carriera, con un profilo alla Ben Hur, molto servizievole, anche lui in ascesa (dà la comunione, non so se mi spiego, a Bruno Vespa, testimone Roberto D’Agostino, e davanti agli obiettivi dei paparazzi, perché lo si sappia subito in giro, con le particole pescate da un bicchiere di champagne sulla terrazza dalla quale si poteva seguire la cerimonia di canonizzazione di due Papi).
Monsignor Balda non se lo fa dire due volte. Pur di accontentare il prestigioso cardinale, introduce la Chaouqui negli ambienti vaticani che contano, lodandola oltre il meritevole e il dovuto, per spingerla verso cerchi vaticani ancor più alti. La ragazzotta si guadagna così la fiducia anche di Padre Leonardo Sapienza che, gestendo le udienze del mercoledì del Papa, è anche l’uomo con l’ultima parola di sostegno nei confronti del Papa stesso che infatti, a un certo punto, tra lo stupore di tutti, nomina la Chaouqui nell’altissimo consesso che esige competenze finanziarie non comuni che lei non possiede nemmeno lontanamente.
Concluso il percorso che l’ha portata al punto di sua massima incompetenza, la Chaouqui poteva calmarsi, accodandosi ai più competenti di lei, stando zitta quasi sempre e, quando fosse stata interpellata, avrebbe dovuto annuire soltanto. Ma la vera specialità di un’arrampicatrice è quella di arrampicare. Come Cesare Maestri, non può stare ferma su una cengia, deve aspirare subito a una nuova vetta. Da qui la necessità di emanciparsi da monsignor Balda che le era superiore, di fatto, fin che non l’aveva sistemata ma, una volta che Immacolata aveva ottenuto la poltrona alla quale aspirava, bisognava far subito sentire al monsignore ispanico che lui era stato solo una passatoia, non certo un passatore. Inizia così il percorso delle balle, in una città, Roma, dove le balle sono generi di largo consumo, come ben descrive in modo straordinariamente efficace il regista Paolo Sorrentino nel suo film La grande bellezza. Roma, del resto, è la città dove, ad esempio, un altissimo manager pubblico, tutt’ora in carica, che aveva seguito un corso di un fine settimana alla Bocconi, aveva messo nel suo curriculum che aveva frequentato un master alla Bocconi. Che è tutta un’altra cosa, se non altro perché un master esige una frequenza di due anni e non di due giorni. Scoperto con le mani nella marmellata, l’altissimo manager di Stato precisò che c’era stato un errore di battitura e che si era in effetti trattato di un corso di solo un paio di giorni e tutto finì lì, senza conseguenze di sorta.
La Chaouqui spiffera quindi al monsignor spagnolo (che ingoia tutto con gli struggimenti del caso, come se fosse un’oca da fois gras) che lei è anche una agente dei servizi segreti, una 007 tricolore, insomma, amica di Massolo (un nome che Immacolata deve aver letto su qualche giornale perché Massolo, almeno lui, ha l’occhio vispo e le bufale di questo tipo le scopre in due secondi). E, per dimostrare che dice il vero, e per dimostrare la sua sovraordinazione a monsignor Barda, che la segue rasosuolo e con la saliva alla bocca, come se fosse un segugio nei pressi della preda, Immacolata riesce a organizzare una cena con Luigi Bisignani, il cerimoniere di tutti gli intrighi, più inventati che effettivi ma che a Roma vengono ritenuti veri, per cui a lui si rivolgono tutti coloro che hanno bisogno di una sponda che, a parole, non si nega a nessuno. E men che meno la nega Bisignani, gran dispensatore di attenzioni. Insomma, a Roma, tutto tiene e si lega. Il Tevere (che dovrebbe separare il Vaticano dallo Stato italiano) è sempre stato piccolo. Ma con la Chaouqui e il monsignore iberico il confine fluviale è diventato irrilevante com’è testimoniato da Luigi Bisignani. Il fernet di tutta la vicenda. Il sigillo del the end. In attesa della prossima bufala, è ovvio.