il Fatto Quotidiano, 2 dicembre 2015
Sulla grande truffa dei salvataggi delle banche malate
Si scrive salvataggio, si legge truffa. Il salvataggio di quattro banche decotte (Banca Marche, Popolare Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara, Cassa di risparmio di Chieti) è magistralmente riassunto dall’articolo 640 del codice penale, che prescrive galera per “chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”. I truffati sono decine di migliaia di risparmiatori che, per decisione del governo e della Banca d’Italia, domenica 22 novembre sono stati trasformati da vittime della loro banca in colpevoli di essersene fidati. Nella Repubblica dei furbi, quando il gatto e la volpe agiscono la colpa è di Pinocchio, il fesso.
Per salvare attività e posti di lavoro delle banche malate, la Banca d’Italia ha tassato tutti gli altri 208 istituti di credito per 3,6 miliardi e li ha girati alle quattro new bank come copertura delle perdite e nuovo capitale. Poi, in base al sano principio del cosiddetto bail in, cioè che se una banca va a gambe all’aria devono pagare azionisti e finanziatori prima dei contribuenti, sono stati azzerati il capitale sociale e le obbligazioni subordinate delle quattro banche. In tutto, come si vede dalla grafica, un conto da 2,6 miliardi. Tolte le Fondazioni, azionisti di controllo che esercitano il potere sugli istituti di credito in nome delle oligarchie locali, e che per anni hanno finto di non vedere lo sfascio, resta un buco da un paio di miliardi per i risparmiatori. Si calcola che siano 130 mila persone.
La stragrande maggioranza ha comprato azioni e obbligazioni subordinate fidandosi, senza leggere le centinaia di pagine dei prospetti informativi. E senza che nessuno spiegasse che le “subordinate”, in caso di fallimento, saranno l’ultimo debito a essere pagato. Valga per tutti il grido di dolore che Eleonora Lotti, studentessa universitaria di 25 anni, ha scritto a tutti i giornali: “Mia nonna ha 88 anni e ha perso i risparmi di una vita, 50.000 euro; mia madre disoccupata ha perso gli unici 5.000 euro di risparmi che è riuscita ad accumulare. Siamo disperati, aiutateci”. Sarebbe bello che il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco le rispondesse e spiegasse perché abbia non solo autorizzato ma addirittura sollecitato l’emissione di azioni e obbligazioni subordinate da parte di banche decotte.
Metri cubi di documenti descrivono il meccanismo: i banchieri danno credito ad amici e raccomandati anziché alle imprese che lo meritano; gli amici non pagano le rate e la banca va in difficoltà; gli ispettori Bankitalia scrivono relazioni durissime; da palazzo Koch parte l’ordine alla banca malandrina di “rafforzarsi patrimonialmente”; la banca rifila ai clienti titoli spazzatura mentre Bankitalia fischietta distratta. Una gigantesca porcheria che i banchieri (oggi tutti indagati per gravi reati) e la Vigilanza hanno ordito ai danni del risparmio, in barba all’articolo 47 della Costituzione che citano solo quando devono salvarsi tra loro.
Banca Marche. All’inizio del 2012 Banca Marche ha piazzato tra i suoi clienti un aumento di capitale da 180 milioni, tutti soldi bruciati definitivamente il 22 novembre scorso. Alla vigilia dell’operazione – autorizzata come sempre dalla Banca d’Italia (art. 56 Testo unico bancario) perché non in contrasto “con una sana e prudente gestione” – Visco aveva scritto al Cda della banca denunciando “rilevante esposizione ai rischi creditizi e finanziari” e chiedendo di cacciare il direttore generale Massimo Bianconi. Di questa lettera non vi era traccia nel prospetto informativo di 290 pagine e per questo, due anni dopo, la Consob ha pesantemente multato i membri del Cda.
Cassa di Ferrara. Nel 2011 ha piazzato un aumento di capitale per 150 milioni di euro, caldeggiato da Bankitalia. Nel prospetto informativo si legge che “nel corso del primo semestre 2009” un’ispezione Bankitalia “ha contestato carenze nella gestione del credito e nei controlli interni, nonché violazioni in materia di concentrazione dei rischi, posizioni ad andamento anomalo e previsioni di perdita”.
Bankitalia sapeva già tutto? Già, infatti nel luglio scorso ha autorizzato i due commissari nominati nel 2013 a chiedere agli ex amministratori di Carife 309 milioni di danni. L’Ansa nota che l’azione “è stata decisa dopo un’attenta valutazione dei verbali delle ispezioni di Bankitalia del 2009 e del 2012”. Invece il Direttorio di palazzo Koch, dopo attenta valutazione del benemerito lavoro dei suoi ispettori, ha autorizzato gli amministratori di Carife a succhiare 150 milioni dalle tasche dei suoi clienti.
Popolare Etruria. Nel luglio 2013 ha piazzato un aumento di capitale da 100 milioni, preteso da Bankitalia per rabberciare i conti proprio mentre era in corso un’ispezione. Nel prospetto, che ovviamente nessun investitore ha letto perché questo obbligo di legge è sistematicamente violato, c’è scritto che gli esiti dell’ispezione “non sono al momento noti e prevedibili”, e quindi “ove la qualità del portafoglio creditizio e delle garanzie a mitigazione del relativo rischio dovessero essere considerate non pienamente soddisfacenti, i requisiti aggiuntivi richiesti da Banca d’Italia in relazione al rischio di credito potrebbero essere ulteriormente innalzati”. C’è tutto scritto: i banchieri prestano in modo, oggi al vaglio del giudice penale, imprudente; Bankitalia lo scopre e ordina di rattoppare il bilancio; i banchieri convincono i clienti a bruciare i loro risparmi; Bankitalia approva. Alla fine la stessa Bankitalia comunica ai risparmiatori che hanno perso tutto e li sfotte pure: è il mercato, bellezze, così imparate a stare più attenti.