Il Messaggero, 2 dicembre 2015
Ricordare Marcello Marchesi
Come Ennio Flaiano, Marcello Marchesi mostrava nell’aspetto fisico il carattere degli italiani; ne mimava i movimenti, gli umori, gli affetti e gli odi. Forse anche per questo, al pari di Flaiano, si accanì tanto contro i loro vizi, le debolezze, l’immoralità nascosta dall’ipocrisia. Ma chi era Marcello Marchesi? La domanda non è retorica, perché gli italiani che hanno meno di cinquant’anni non hanno idea di chi possa essere stato questo personaggio che ha dato voce alla nostra cultura popolare, specialmente negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.
Marchesi lavorò soprattutto per far fare bella figura agli altri, agli attori e ai cantanti, per questo di lui resta poco o niente, e quel poco forse è meglio non ci fosse. Sì, perché quel “Signore di mezza età” che lo rese televisivamente famoso ai suoi tempi, è davvero poca cosa rispetto al suo talento creativo che gli fece riempire pile alte così di carta, un tesoro andato disperso in mille rivoli, tra caroselli pubblicitari, articoli di giornale, sceneggiature, regie, parole per canzonette (alcune celebri come “Bellezza in bicicletta”), programmi radio e televisivi.
Uno stacanovista, Marcello Marchesi, un lavoratore insonne che insegnò il mestiere a stuoli di programmisti, autori di teatro leggero, presentatori, umoristi. Onore al merito, finalmente tutto questo gli viene riconosciuto nel numero appena arrivato nelle librerie del quadrimestrale “Panta”, a cura di Mariarosa Bastianelli e Michele Sancisi (Bompiani, pagine 533, euro 30). Un volumone in cui quasi tutti i “colleghi” di questo grande operaio della parola (così forse è giusto definirlo, ma andrebbe bene anche operatore culturale), ne parlano come di un rimpianto maestro. Così è per Enrico Vaime, Pippo Baudo, Maurizio Costanzo, Michele Guardì, solo per citarne alcuni.
Nato nel 1912 e scomparso nel 1978 (un fatale tuffo nel mare della Sardegna, sotto gli occhi della moglie e del figlio Massimo, che allora non aveva compiuto due anni), Marcello Marchesi ha dato voce e immagine al suo tempo. Fattosi le ossa con la satira tenuta sotto stretta osservazione dal regime fascista, diede il meglio di sé negli anni del boom; anni di ottimismo e di crescita economica, ma anche periodo in cui un prefetto era un prefetto, un cardinale un cardinale, un primario d’ospedale un primario d’ospedale, vale a dire un domineddio inavvicinabile e sul quale non si poteva scherzare.
Nato a Milano (da qui il suo frenetico lavorare con le parole come in una catena di montaggio) e stabilitosi a Roma (da qui il suo esibito e non sempre bonario scetticismo), Marchesi ebbe a che fare con tutti gli attori, specie del genere comico, allora in circolazione in Italia (Walter Chiari il suo prediletto) e con i più grandi autori di teatro leggero e di programmi televisivi. Molti di questi nomi ora si trovano nel numero di “Panta” a lui dedicato, da Renzo Arbore a Italo Terzoli, da Marisa del Frate, a Raffaele Pisu, da Enrico Vanzina a Paolo Villaggio. Ci sono registi oggi celebri come Ettore Scola, che cominciò al “Marc’Aurelio”, proprio con Marchesi e Vittorio Metz.
Sorpresa, c’è anche Umberto Eco, e a giusto titolo. Perché fu lui a curare per Bompiani l’edizione del libro più straordinario di Marcello Marchesi, “Il malloppo”, un’ossessiva litania di parole combinate in tutti i modi possibili, una serie di concetti infilati l’uno nell’altro, una sinfonia di pensiero che solo uno scrittore, e non un semplice umorista, può concepire. Alcune battute sono geniali: «Non si vive di Ricordi. Solo Giuseppe Verdi c’è riuscito»; «Il circolo vizioso non è un club di omosessuali».
Riproposto non molto tempo fa da Bompiani, così nel settembre 1971, Eco dava il via libera al “Malloppo”, perché si stampasse nella casa editrice presso la quale lui lavorava. La lettera ora può essere letta su Panta: «Caro Marchesi, Bompiani ha visto il Suo libro e gli è piaciuto. Quindi, tanto per cominciare, il libro si fa e anzi nella riunione di stamane abbiamo pensato che sarebbe utile farlo uscire con le strenne natalizie. Si rendono quindi urgentissime alcune cose perché bisogna iniziare subito la lavorazione…».
Bei tempi! O semplicemente un’altra epoca.