Il Messaggero, 2 dicembre 2015
L’uomo con due cuori (uno è artificiale)
Pesa 100-150 grammi, viene alloggiato sotto il diaframma, sostituisce il ventricolo sinistro, è collegato con l’esterno con un tubo e una batteria. Da poco più di una settimana “HeartMateIII”, cuore artificiale di ultima generazione, “batte” nel petto di un paziente con una grave malformazione cardiaca seguita ad un infarto avvenuto a gennaio scorso. È il primo impianto in Italia. Solo pochi giorni fa ha ricevuto il via libera per l’utilizzo in Europa.
Il cardiochirurgo Francesco Musumeci, direttore della Cardiochirurgia e del Centro regionale trapianti dell’ospedale San Camillo di Roma, ha effettuato l’intervento: «È pienamente riuscito».
Professore quali erano le condizioni dell’uomo che avete scelto per questo primo impianto in Italia?
«Dopo un infarto all’inizio dell’anno il paziente ha mostrato una malformazione importante. Nonostante l’intervento di angioplastica e le cure, le sue condizioni in questi mesi si sono aggravate. L’unica nostra possibilità per salvargli la vita era quella dell’organo artificiale».
Professore, si tratta di un “aiuto” al cuore danneggiato in attesa del vero trapianto di organo?
«Garantisce una sopravvivenza del 92 per cento. Superiore ad ogni precedente modello. Possiamo parlare di totale assenza di eventi avversi derivati dal malfunzionamento».
Vuol dire che “HeartMateIII” potrebbe anche non essere mai rimosso e il paziente potrebbe riuscire a tenerlo per tutta la vita?
«Potrebbe».
Si tratta di un piccolo dispositivo che può essere impiantato con tecniche mini-invasive. Il primo passo verso un intervento-trapianto al cuore senza bisturi?
«Noi abbiamo fatto un intervento tradizionale in questo caso, della durata di circa tre ore. Ma è certo che può essere introdotto nell’organismo con pratiche mini-invasive».
Esattamente dove è stato posizionato il piccolo cuore artificiale?
«Al livello dell’addome, sotto il diaframma ed è collegato con l’esterno con un tubo».
Un tubo per avere energia?
«Un tubo collegato con le pile. Il paziente, intorno ai fianchi, porta una sorta di cartucciera che gli permette di fare la sua vita».
Il paziente non si accorge di avere accanto al cuore quest’altro organo meccanico?
«Ovviamente il tubo che esce non permette di “dimenticare”, ma la funzionalità cardiaca è totale. Stiamo parlando di una pompa centrifuga che lavora in un campo elettromagnetico senza punti di contatto, tenuta sospesa da un magnete. In questo modo lo stress sul sangue è ridotto e non si verifica il fenomeno dell’usura. Questo permette al dispositivo di durare nel tempo».
Chi è in lista per un trapianto di cuore può sperare in questo impianto?
«Si lavora perché diventi l’alternativa. Ricordiamo che in lista d’attesa per un cuore ci sono circa settecento persone. Devono aspettare almeno due anni e otto mesi, un tempo molto lungo. Nel 2015 i trapianti di cuore in Italia sono stati 226, un numero sostanzialmente stabile. Per fortuna, sette in più rispetto all’anno precedente».
I pazienti aspettano oltre due anni prima del trapianto, si potrebbe intervenire appena c’è l’indicazione per la sostituzione dell’organo?
«È chiaro che i cuori donati sono insufficienti rispetto alle richieste. Questa è una via praticabile anche per stabilizzare il paziente in attesa del trapianto d’organo».
L’uomo con “HeartMateIII” può riprendere la sua vita regolarmente o ha delle limitazioni particolari?
«Può ricominciare a fare quasi tutto, anche andare in bicicletta o fare a casa la cyclette. Alcune cautele ma sicuramente una vita normale».
Lei da oltre trent’anni interviene sul cuore, l’impianto di questo ultimo artificiale quale futuro prossimo le fa prevedere in sala operatoria?
«Il futuro non è solo nello strumento. Si deve lavorare sodo nell’organizzazione del gruppo. Noi abbiamo creato un’équipe di chirurghi, cardiologi, anestesisti, psicologi, infermieri, fisioterapisti e tecnici per affrontare l’intervento. Questo è il futuro».