il Fatto Quotidiano, 2 dicembre 2015
A Roma, il business degli open bus vale tra i 20 e 40 milioni di euro l’anno
Ammirare dall’alto le bellezze di Roma comodamente seduti sul piano rialzato di un Open Bus non costa poi molto: da 12 a 25 euro. Non sono le indimenticabili passeggiate in Vespa di Audrey Hepburn in Vacanze romane, ma la vista mozzafiato è garantita: si va dal Colosseo a San Pietro, passando per piazza Venezia e il Circo Massimo. Luoghi simbolo che dai prossimi giorni saranno invasi da milioni di pellegrini per il Giubileo straordinario. Già oggi il business degli open bus è valutato tra i 20 e 40 milioni di euro l’anno, destinati a lievitare dall’8 dicembre in poi.
Tutto a norma? No. Dopo quindici anni, incredibilmente, manca ancora una delibera su numero di corse e distribuzione territoriale di questi bus. Insomma, ad accogliere i fedeli a caccia di indulgenze ci sarà una giungla di ingombranti torpedoni, tutti a contendersi gli stessi percorsi. L’ultimo tentativo di disciplinare il settore si è arenato in Assemblea Capitolina nella scorsa consiliatura. Difficilmente la situazione cambierà nell’anno del Giubileo.
Sono sei le aziende private più attive nel settore, in perenne contrasto con le due imprese “istituzionali”: una che faceva capo al Campidoglio, un’altra che lavora per l’Opera Romana Pellegrinaggi. Per capire chi sono e da dove vengono è necessario fare un salto indietro nel tempo. Nel 2000, l’ultimo Anno Santo, la prima a intravedere margini di profitto nel settore è Atac, la disastrata azienda del trasporto pubblico romano.
Una joint venture tra la sua partecipata Trambus Open (60%) e il socio di minoranza francese Les Car Rouges (40%) avvia un servizio di bus turistici a due piani. Dopo poco arrivano i privati, ma l’operazione di Atac finisce ugualmente nel mirino della Commissione Europea che avvia una procedura di infrazione per violazione delle norme sulla concorrenza. Viene contestata la scelta del Campidoglio di aver affidato senza bando a una sua partecipata il servizio open bus. Il rischio è una multa da 8 milioni di euro. Nel frattempo, come da manuale per le società in house capitoline, crescono i dipendenti di Trambus Open (arrivando a quota 100) e i debiti: 4 milioni di euro nel 2014.
Nel 2013 Trambus Open viene messa in liquidazione, Les Car Rouges invece viene inglobata dal colosso britannico Big Bus. Risultato, i dipendenti della società passano ad Atac, vetture e licenza a Big Bus. Al pubblico le le spese, ai privati il guadagno. La transazione finisce sotto i riflettori. “Ho visto stime in assessorato che valutavano Trambus Open attorno ai 4 milioni di euro, mentre è stata venduta a soli 500 mila euro. L’unica cosa che ho potuto fare è stato portare tutto il fascicolo alla Procura”, rivela al Fatto l’ex assessore ai Trasporti del Campidoglio Stefano Esposito. Insomma, il caso è ancora da chiarire.
Non brilla per trasparenza nemmeno il servizio gestito per l’Opera Romana Pellegrinaggi. I loro bus “non sottostanno alle regole chevalgono per gli altri gestori privati, operano in regimedi extraterritorialità”, spiegava solo qualche mese fa Annamaria Graziano, direttore del Dipartimento Mobilità del Campidoglio. Anzi: “Quando abbiamo scritto una lettera all’Orpper chiedere garbatamente che anche loro siadeguassero al regolamento il dirigente di turno si èlamentato col sindaco Marino”. Rilancia Riccardo Magi, segretario di Radicali italiani: “Se fosse confermato che Orp esercita l’attività di trasporto turistico senza autorizzazioni, perché Atac ha svolto iniziative in partnership conOrp?”.
Contattato dal Fatto, monsignor Liberio Andreatta, plenipotenziario dell’Orp, replica: “Siamo in regola, abbiamo la licenza, compriamo questo servizio da una società non legata all’Opera. I bus non hanno fini turistici, fanno un percorso delle basiliche e dei luoghi di culto della cristianità, sono un servizio di catechesi ed evangelizzazione gestito in base a quanto previsto dal Concordato”. Insomma, profitti a norma, in nome della libertà di culto.