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 2015  dicembre 02 Mercoledì calendario

Padoan gioca a Tombola con il Pil

La realtà è una brutta bestia e persino Matteo Renzi rischia di andare in confusione nel cortocircuito che la brutalità dei fatti stabilisce con la narrazione ideologica con cui li si è voluti ammantare. Un premier come mai sotto tono, ieri, ha provato senza successo a salvare quel poco che resta del suo storytelling dalle mazzate in arrivo sotto forma di dati Istat: quelli sul lavoro ve li raccontiamo nella pagina accanto, qui si parla invece di Prodotto interno lordo, cioè della ricchezza prodotta in Italia.
Ieri, Istat ha confermato che la crescita del Pil nel terzo trimestre 2015 è stata dello 0,2%, inferiore alle attese (nonostante le pressioni del Tesoro per rivedere le stime al rialzo): nei primi due era stata +0,4 e +0,3%. Il trend non lascia ben sperare – nonostante il contesto super-favorevole (euro svalutato, spread e petrolio ai minimi) – per il raggiungimento degli obiettivi scritti dal governo nella “Nota di aggiornamento” al Documento di economia e finanza (Def) a fine settembre: +0,9% di crescita e 0,3% di inflazione, i numeri su cui si basa l’intero Bilancio dello Stato. Stanti i risultati dei primi nove mesi, la crescita acquisita per il 2015 è +0,6%: se l’Italia crescerà come nel terzo trimestre anche tra ottobre e dicembre (+0,2%), il risultato di fine anno sarà proprio +0,6%; se andrà meglio, si arriverà a un +0,7%. Fare meglio è quasi impossibile visti i segnali.
Sulla questione, ieri alla presentazione del libro di Bruno Vespa, Renzi pareva tarantolato. Prima dichiarazione: “Noi abbiamo previsto lo 0,7 di crescita (a gennaio, ndr), poi visto che le cose andavano un po’ meglio abbiamo fissato lo 0,9%. Secondo me chiudiamo allo 0,8” (tombola). Pochi minuti dopo: “Mi ha appena scritto Padoan, mi ha detto: sullo 0,9 tieni la linea, non è Roma-Fiorentina. La mia linea è totalmente quella di Padoan”. Se “la linea” è di Padoan, d’altra parte, quando verrà smentita la colpa ricadrà sul ministro dell’Economia, anche se è stato Palazzo Chigi a volere nel Def numeri più ottimisti.
D’altronde è stato proprio Pier Carlo Padoan a esporsi con quel commento infelice sugli attentati di Parigi del 13 novembre che avrebbero fermato la crescita: tesi, va detto, che ha degli estimatori visto che qualcuno, ieri, citava come prova il crollo di ristoranti e bar riportato da Istat. Peccato che le rilevazioni siano effettuate nella prima metà del mese: arduo pensare a un “effetto Bataclan”.
Torniamo al confuso Renzi: “I segnali di ripartenza ci sono”. Quali? La disoccupazione giovanile è calata e il Jobs Act ha portato alla creazione di 300mila posti di lavoro. Dove prenda i dati il presidente del Consiglio è un mistero: non dall’Istat, forse da qualche suo amico di cui non vuole fare il nome. “Comunque i dati economici sono migliori delle previsioni di inizio anno”. Vero? Mica tanto.
Ad esempio: per centrare il +0,8% su cui scommette il premier serve una crescita almeno dello 0,6% tra ottobre e dicembre (l’ultima volta è successo 5 anni fa); per arrivare al +0,9% scritto nel Def serve una crescita almeno dell’1% nell’ultimo trimestre (ultimo caso nel 2006). “Cosa sarà mai uno zero virgola qualcosa in meno?”, si chiede l’economista Francesco Daveri su lavoce.info: “Uno 0,2% di crescita in meno rispetto a quanto il governo ha preventivato vuol dire un ‘buchetto’ di uno 0,1% di rapporto deficit-Pil in più, cioè circa 1,6 miliardi. Metà della clausola migranti e tutta la clausola sicurezza”.
Niente di preoccupante per il 2015, probabilmente, quanto alle reazioni di Bruxelles, ma per l’anno prossimo il problema è più grosso: se la crescita non sarà quella immaginata dal governo, il Budget triennale predisposto da Padoan crollerà come un castello di carte. E la residua credibilità dell’esecutivo con lui.