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 2015  dicembre 02 Mercoledì calendario

Confucio e la filosofia calcistica di Lippi

In Cina, nei tre anni con tre campionati di fila e una Champions d’Asia vinti alla guida del Guangzhou Evergrande, i tifosi lo chiamavano Volpe d’argento: «Per i capelli, ovvio» dice lui (ma anche per l’astuzia tattica). Per i ragazzini della grande scuola calcio cantonese di cui era rettore onorario invece era «Shuai Li», il Maresciallo Lippi, in segno di rispetto e venerazione, come fosse un comandante militare. Ora, tornato in Cina dopo otto mesi dall’addio, Marcello Lippi è a un passo dalla commozione. «Non credevo di trovare questo affetto», dice davanti a una platea piena di giovani cinesi riuniti all’ambasciata italiana di Pechino. Il suo discorso prende la forma di una lezione di filosofia calcistica: il Lippi Pensiero, con sfumature confuciane.
«Anzitutto, nessuna primadonna, nessuno che rovini il lavoro della squadra per un insulto all’arbitro che fa prendere cinque giornate di squalifica. Perché c’è il campione che ha avuto grandi doti dalla natura ma poi non ci mette del suo e non è utile alla squadra. E invece c’è il fuoriclasse, quello che è determinante sul campo e fuori per la vittoria. Non ho mai visto grandi squadre che non vincono». I ragazzi di Pechino gli chiedono di fare i nomi. «C’è il fuoriclasse leader silenzioso, come Peruzzi: non diceva una parola ma comandava con uno sguardo». «E poi il leader per bravura, come Zidane, Del Piero, Totti, e quello di saggezza. Prendete Cannavaro, che nel 2006 fu votato Pallone d’oro: non era molto tecnico, ma determinante».
Fabio Cannavaro da allenatore dell’Evergrande ha resistito poco, esonerato a giugno. «Colpa mia», risponde Lippi. «Io, lasciata la panchina, dovevo fare il d.t., ma dopo tre anni così lontano da casa avevo voglia di tornare. Fabio a giugno con l’Evergrande era primo in campionato e ai quarti in Champions, perché è bravo. Ma il club voleva qualcuno più esperto, uno come me, e hanno preso Scolari».
Torniamo al campione non fuoriclasse. «Non bastano i colpi di tacco a effetto. Se c’è un giocatore non in sintonia con la squadra, l’allenatore deve mettercelo, se non ci riesce da solo si fa aiutare da un leader e se ancora non ci riesce lo prende per un orecchio e lo mette fuori».
Che cosa manca ai cinesi? «Bisogna pensare calcio fin da ragazzini. Significa giocare per strada, in cortile. Noi andavamo in pineta col pallone a Viareggio e lì si dovevano schivare gli alberi, stare attenti alle radici, così s’impara». Ma l’Evergrande in Italia sarebbe in serie A? «Sì, perché ha sei stranieri, è un club internazionale e lo ha dimostrato al Mondiale per Club con il Bayern. Tante squadre prendono 6-7 gol con il Bayern, noi a fine primo tempo eravamo 0-0; poi loro hanno segnato, noi siamo stati a un passo dal pareggio ed è finita 3-0. Ma sapete che cosa mi ha fatto piacere? Guardiola che mi ha detto “Marcello, se stasera tu fossi stato al Bayern e io al Guangzhou ne avrei presi 10”».
Il futuro prossimo, si sa, per Lippi potrebbe essere un club italiano. Ma i cinesi lo sognano alla loro nazionale rossa. Ultimo insegnamento: «Non sarebbe corretto verso l’allenatore della Cina parlare di successione mentre lui è in carica. Il giorno che non ci fosse più, non lo so».