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 2015  dicembre 02 Mercoledì calendario

Il trentenne Zerocalcare: «Noi, generazione tradita»

«È che i trentenni non esistono più, come gli gnomi, il dodo e gli esquimesi. Adesso c’è l’adolescenza, la post-adolescenza e la fossa comune. I trentenni sono una categoria superata, a cui ci si attacca per nostalgia, come il posto fisso». Così ragionava Zerocalcare, immobile sul divano, sopracciglia aggrottate e braccia conserte, in una vignetta di qualche tempo fa. Quando il suo omonimo autore, Zerocalcare appunto, nome d’arte dell’amatissimo fumettista Michele Rech, ancora 30 anni non li aveva compiuti. Tra pochi giorni, però, ne avrà 32. Piena generazione 80, insomma. Quella che si muove nei suoi racconti ironici e agrodolci, tra le strisce del suo blog e le pagine dei suoi libri, l’ultimo è L’elenco telefonico degli accolli, e quella a cui il presidente dell’Inps disegna un futuro ben poco roseo. Dopo un presente precario, eccoli al lavoro fino a 75 anni per prendere una pensione del 25% inferiore a quelle di oggi.
Dal lavoro precario a quello «a vita», senza sicurezze sulla pensione. Generazione sfortunata? E che effetto fa farne parte?
«Mi terrorizza abbastanza, ma spero che, a differenza di oggi, tempo in cui ognuno si affanna per conto proprio, cercheremo una soluzione collettiva: il problema riguarderà tantissimi di noi».
Perché scrivevi che i trentenni non esistono più?
«Quella vignetta è di qualche anno fa, ma la situazione non è cambiata. Quando ero ragazzino i trentenni li vedevo adulti: avevano un loro preciso posto nel mondo. Rispetto a loro, per me e tanti miei coetanei la vita non è molto cambiata dalla fine della scuola. Siamo ancora in bilico fra un lavoretto e l’altro. Alcuni costretti a vivere con i genitori, altri a reinventarsi continuamente. Io mi sento un privilegiato ora che posso pagarmi l’affitto facendo perdipiù quello che mi piace».
Qualche anno fa l’allora ministro Fornero disse che certi giovani sono troppo schizzinosi col lavoro. Qualche rimprovero da fare a questa generazione?
«Non scherziamo. Questa è una generazione che nella maggior parte dei casi non riesce a fare il lavoro per cui ha studiato. Ho amici che si sono laureati in Biologia e insegnano nuoto, in Psicologia e fanno le babysitter, in Storia e fanno i camerieri. E comunque non basta. Questa è una generazione generosa, che si è dannata l’anima per trovare un posto nel mondo e ha visto tradite le sue aspettative».
Rischi di una guerra generazionale fra chi ha e chi no?
«Parlo per me, e certamente no. Non ho mai pensato che per ottenere diritti io avrei dovuto toglierli ad altri. I diritti si estendono, non si riducono. Non c’è risentimento, se non nei confronti di una classe politica che ci ha portati fin qui».
Nelle tue strisce, molto popolari soprattutto fra lettori della tua generazione, racconti di precariato ed eterna giovinezza. Da piccolo ti immaginavi con il posto fisso e la famiglia a 30 anni?
«Sì, non sapevo cosa avrei fatto, ma pensavo che sarei stato sui binari giusti. Non pensavo di rimanere fuori dai cicli della produzione. Come mi è successo prima, perché ripeto, oggi sono un privilegiato, e come succede a tanti della mia età, che faticano a pagare l’affitto e devono vivere con tre coinquilini. Molti finiscono a spacciare, nelle borgate succede».
Nelle periferie, come quella che racconti, Rebibbia a Roma, è più difficile trovare il proprio posto?
«Bisogna capire cosa significa periferia. A Rebibbia, come ovunque, c’è di tutto: chi non ha la terza media e chi è laureato. Certo, però, se si parla di lavoro offre meno».
Nelle tue tavole si parla poco di pensione. Nella realtà? Hai mai pensato alla tua?
«A farlo mi viene un’ansia tremenda. Non so che tipo di pensione potrò avere, è tutto fumoso. Prima di fare il fumettista ho avuto contratti di un mese e mezzo, e a molti amici non hanno mai nemmeno pagato i contributi. Tra noi non si parla molto di pensione, tutti danno per scontato che non l’avremo. Ma riguarda tanta gente: qualcosa, tutti insieme, dovremo inventarci».