Corriere della Sera, 2 dicembre 2015
Il trentenne che sapeva di essere sieropositivo e ha deliberatamente contagiato sei donne conosciute via chat. Arrestato a Roma
Sapeva di essere sieropositivo e ha deliberatamente contagiato sei donne a Roma. E adesso il sospetto è agghiacciante: altre ragazze incontrate dopo un contatto attraverso le chat potrebbero aver contratto l’Aids. Tutte vittime di Valentino T. (il nome non è di fantasia), dal 2006 risultato positivo al virus come certificano i medici dello Spallanzani e arrestato per ordine dei giudici di Roma. L’allarme lanciato ieri dalla polizia giudiziaria che ha svolto gli accertamenti su delega del pm Francesco Scavo, fa temere il peggio: «Crediamo che possano esserci altre donne infette e speriamo che possano rivolgersi a noi, questo caso si intreccia a un vero problema sociale perché ci siamo accorti che i ragazzi che dialogano online sono disinformati ed esposti a questa malattia e alle sue conseguenze».
Le vittime già identificate hanno tra i venti e i trent’anni, ma c’è anche una minorenne. Non c’è per loro alcuna possibilità di guarigione, potranno sperare soltanto di tenere sotto controllo la malattia. Ragazze che non erano ancora nate quando l’Aids si manifestò nei volti scavati di pop star, divi hollywoodiani e principi della danza classica ormai devastati dall’Hiv. E adesso devono combattere una battaglia terribile.
Trent’anni, belloccio, Valentino T. aveva una vita apparentemente normale fatta di lavoro e amici. Incantava tutte via chat, in tante rispondevano e qualcuna vinceva il primo premio: una notte di sesso con lui. A volte veri e propri festini organizzati con altri coetanei. Da lui le donne si lasciavano convincere a fare sesso senza protezione. E adesso tra le prove che gli vengono contestate c’è la perizia medica che mette a confronto i virus del contaminatore e del contaminato «dello stesso ceppo virale». Una tra le vittime ha avuto con lui una relazione di quasi un anno prima che un amico comune la informasse: «Sai che Vale è sieropositivo?».
Drammatica la vicenda della quattordicenne: Valentino T. era stato il compagno di classe della sorella maggiore. Il ragazzo la riaccompagnava a casa dopo la scuola. Ascoltata dal magistrato (oggi è maggiorenne) ha inizialmente negato, salvo poi ammettere: «Sì ho avuto un rapporto completo senza protezione con lui». Gli investigatori le hanno suggerito di fare le analisi. La ragazza va allo Spallanzani e arriva il responso: positiva all’Hiv.
Sono casi fotocopia: un’altra inizia con lui una relazione nel 2006. All’epoca non ha ancora avuto rapporti, il primo senza protezione. La sieropositività le viene diagnosticata ad aprile del 2012. In quel periodo Valentino è già con un’altra. L’ha conosciuta sul social network. Chatta e «con lui consuma rapporti protetti e talvolta dietro insistenza dell’uomo non protetti», come evidenzia il gip Alessandro Arturi. Il 21 settembre 2014, dopo un ricovero in codice rosso per una gravissima forma di polmonite contro cui gli antibiotici si rivelano insignificanti, le viene diagnosticata l’infezione di Hiv».
Tutte gli credono, molte sono innamorate, poche sospettano. E quando accade lui nega arrivando a falsificare il certificato che attesta la sieropositività rilasciato dall’ospedale. Come con una delle sue vittime, la prima a sporgere denuncia a fine 2014. Per tutte le altre era il ragazzo sexy della porta accanto da tenere stretto. Solo una lo ha lasciato. Motivo? Le era infedele.
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«Era il tipo che scendeva ad aprirti la portiera dell’auto. Mai distratto, ti guardava con rispetto, ammirazione, curiosità, interesse. Innamorato dalla testa ai piedi. Attento ai dettagli: uno così, mi ripetevo, non lo trovo più». I dieci mesi d’amore di Valentino T. (questa è la sua vera identità) e Luana (il nome è di fantasia) sono in un verbale dell’inchiesta della procura di Roma. Assieme ai tabulati degli iPhone, ai racconti degli amici, ai referti medici. Il perimetro criminale di Valentino T. è ancora in fase di definizione. La stima è di almeno altri cinque casi di donne infette e inconsapevoli di aver contratto il virus dell’Hiv.
Com’era stare con l’uomo di «disperante indifferenza» descritto ora dai magistrati che lo hanno arrestato e accusato di lesioni gravissime? È Luana a raccontarlo, la prima a denunciare. Venticinque anni, capelli lunghi, voce pacata. Lucida, spiritosa, istruita, consapevole del suo corpo e delle sue capacità. Non si sopravvaluta ma, certo, non si butta giù.
Valentino le appare per la prima volta nell’estate del 2013, sotto forma di nickname. E lei racconta: «L’ho conosciuto chattando, era “Vale” per tutti, siamo usciti, ero attratta, abbiamo fatto l’amore». Tutto è sembrato piacevole, appagante. Ogni proposta che veniva da lui suonava «percorribile». Luana non rifiutava mai. Rapporti senza protezione? Perché no. Sesso a tre? Ok. Sperimentiamo. Lui ha altre avventure? E sia, a me, questo evidentemente pensava, non toglie nulla.
Per un anno va così, spiega la ragazza all’agente di polizia (una donna) e al magistrato che coordina l’inchiesta. A luglio 2014 una conversazione con Giulia, un’amica comune, capovolge il suo universo: «Valentino è sieropositivo, tu lo sapevi, te l’ha detto?».
In quel momento Luana si sente «un mezzo e non un fine». Cose così non si comprendono subito, ci vuole tempo per realizzare. Lei lo chiama, piovono accuse, lui si difende e la offende a sua volta, lei non gli crede, lui è sdegnato, protesta, prende tempo, cerca una via di fuga. Lo soccorre WhatsApp : «Su insistenza di lei – scrive il gip – le invia sul cellulare l’immagine fotografica di un asserito referto rilasciatogli dall’ospedale Sant’Eugenio». Ecco, le dice, vedi? Il test è negativo.
Luana torna a respirare. Si tranquillizza, però qualcosa le lavora dentro. Ha il suo equilibrio, i suoi affetti, non è sola: decide di non credergli. Si sottopone al test a sua volta. Il 2 ottobre 2014, con la prescrizione medica, fa gli esami. Sieropositiva all’Hiv. Ora lo sa. Si rivolge agli investigatori e denuncia per sé ma, forse, anche per le altre. Arriva in Procura, dove deve rispondere a domande su se stessa anche se a questo punto tutto sembra precario, incluso il suo equilibrio: «Lei sa che le lesioni che ha contratto non sono curabili, che non esistono terapie?», le dicono. Luana ascolta, replica che è una ragazza come le altre, non sa nulla dell’Aids. È una patologia remota, un virus sconfitto, una malattia da cui si guarisce con l’antibiotico giusto. Le spiegano di no, che non è così purtroppo.
Ma quel referto negativo che lui le ha inviato dall’iPhone allora? «Clamorosamente falso, ci spiace», le dicono. I magistrati oggi lo inseriscono fra i capi d’imputazione. È una bugia dalle gambe cortissime: «La comparazione di quel documento con il certificato delle analisi successivamente fatte presso lo stesso ospedale dalla madre della denunciante – scrive il giudice nell’ordinanza di misura cautelare – mette in mostra difformità grafiche». Insomma, è una contraffazione. Il Principe era fasullo. Luana piange a casa. In Procura si asciuga gli occhi e racconta ogni cosa.