il manifesto, 1 dicembre 2015
La corsa alla Casa Bianca passa anche per gli spot tv
Condoglianze alle famiglie dei morti e banalità sulla violenza è stato tutto quello che i repubblicani aspiranti alla Casa bianca 2016 hanno offerto in risposta alla tragedia avvenuta venerdì a Colorado Springs. Una sparatoria dove hanno perso la vita 3 persone e intorno alla quale ruotano due «cause sacre» su cui i 14 candidati del Gop hanno posizioni unanimi – l’opposizione all’aborto (teatro dello scontro armato è stata una sede locale del consultorio femminile Planned Parenthood) e quella al controllo delle armi. Si sa, il terrorismo domestico è cosa meno facile da sfruttare mediaticamente di quello che viene dall’esterno, specialmente se è vero che – come ha suggerito un portavoce di PP– il presunto responsabile dell’attacco alla clinica è stato ispirato da video diffusi dal movimento antiabortista in cui impiegati di Planned Parenthood starebbero discutendo la vendita di tessuti fetali (la veridicità dei video è stata smentita da un’inchiesta, ma il loro mito permane).
Gli stessi candidati repubblicani non hanno dimostrato analoga prudenza quando si e trattato di reagire ai fatti di Parigi. Oltre alle dichiarazioni pubbliche, gli attentati dell’Isis nella capitale francese hanno costituito l’occasione per la messa in circolo di un’infornata di spot intesi a provare le rispettive credenziali antiterrorismo e il polso duro in politica estera. Sintetico e sobrio (il senso di minaccia è affidato all’illuminazione chiaroscuro e al copy) il primo spot tv nazionale rilasciato dalla campagna di Marco Rubio – 30 secondi in primo piano in cui il 44enne senatore della Florida –giacca nera su fondo nero, cravatta rossa e spillina con la bandiera Usa– è un misto di gravitas e risolutezza: – «Questa è una lotta tra civilizzazioni….Quello che è successo a Parigi potrebbe succedere qui…Non può esserci accordo o trattativa. O vincono loro o vinciamo noi».
Più pesanti quasi tutti gli altri, a partire da Chris Christie il cui Political Action Committee, America Leads, ha creato uno spot che combina girato dai campi di addestramento di terroristi islamici, un’intervista a Obama che (poco prima di Parigi) afferma che l’Isis è «in via di contenimento», Hillary mentre dice che «la battaglia contro l’Isis non può essere solo americana» e Christie – su immagini dagli attentati di Parigi – che tuona: «Questo presidente e Hillary Clinton hanno reso l’America più vulnerabile. Il paese è stanco di un debole nell’Ufficio ovale. Dobbiamo smettere di voler essere amati e tornare a farci rispettare».
Secondo forse solo allo spot di Carly Fiorina (due minuti e passa di terroristi armati a bordo di camionette, in cui l’ex CEO della Hewlett Packard sentenzia: «è ridicolo dire che l’effetto serra è il maggior pericolo a cui ci troviamo di fronte») per l’uso spregiudicato delle immagini di repertorio, lo spot di Christie avrebbe già dato i suoi risultati in New Hampshire, dove America Leads lo ha diffuso, acquistando mezzo milione di dollari in spazi pubblicitari. Sabato, il «New Hampshire Union Leader», uno dei più influenti giornali dello stato che sarà teatro delle primarie, il 9 febbraio prossimo, ha annunciato l’endorsement di Chris Christie, «l’uomo giusto per questi tempi pericolosi».
«Siamo in guerra con il terrorismo radicale islamico», avvisa allarmato anche Jeb Bush in un discorso tenuto a The Citadel, l’accademia militare di Charleston, nello spot che il suo Super Pac, Right to Rise Usa, ha montato su immagini di terroristi armati fino al collo. Con un investimento di 19.5 milioni di dollari in pubblicità solo in Iowa (il caucus locale si terrà il primo febbraio), New Hampshire e South Carolina (primarie il 20 febbraio), Right To Rise USA e la campagna di Jeb Bush, tra i repubblicani, sono quelli che per ora hanno speso di più in pubblicità.
Dalla parte opposta dello spettro della spesa (insieme agli altri candidati che non vengono da una carriera in politica, come Carly Fiorina e Ben Carson) è Donald Trump. Forte della pubblicità gratuita che gli arriva grazie alle dichiarazioni razziste e xenofobe che rilascia regolarmente, Trump (in testa a tutti i sondaggi in New Hampshire) non ha speso nulla in promozione pagata fino a un paio di settimane fa, quando – subito dopo Parigi– ha acquistato due spot radiofonici (costano meno…) in cui promette, oltre al solito muro sul confine meridionale degli States, «bombardamenti infernali» ai danni dell’ Isis.
In realtà il più suggestivo tra gli spot repubblicani che usano lo spauracchio del terrorismo, è arrivato già il settembre scorso, ed è stato realizzato dalla campagna del senatore texano Ted Cruz. «C’è uno scorpione nel deserto», annuncia la voce di Cruz sull’immagine di uno scorpione che cammina su delle ossa semi seppellite nella sabbia. «Noi sappiamo che il suo veleno è una minaccia mortale. Altri non hanno il coraggio di chiamarla per nome. Ma lo scorpione vuole la nostra distruzione. Non è ora di riconoscerlo per quello che è?», continua la voce. Al che si vedono entrare in campo i classici stivali da cowboy che indossa sempre Cruz, e l’insetto arretra…
I trenta secondi sono la diretta citazione di un famoso spot della campagna presidenziale di Ronald Reagan, nel 1984, il cui ’incipit, «C’è un orso nel bosco» era riferito all’Unione Sovietica. Secondo i dati delle Federal Election Commission, nei prossimi sessanta giorni, i residenti di Iowa e New Hampshire saranno bombardati da una quantità di spot (su tv, cellulari e internet) che potrebbe superare i 300 al giorno.