il Fatto Quotidiano, 1 dicembre 2015
Renzi visto da Pomicino
Paolo Cirino Pomicino è l’eccezione vivente, a 76 anni e un cuore nuovo, al celebre detto su chi nasce incendiario e muore pompiere. Nel suo caso è il contrario. L’ex ministro andreottiano, che ha pagato per i suoi “errori”, come li chiama lui, nella Tangentopoli della Prima Repubblica, da almeno un lustro esercita con lucidità una feroce critica al potere declinante della Seconda Repubblica, che sia berlusconiano, tecnico o renziano. Anzi più passa il tempo e più diventa allarmante il grido di dolore pomiciniano. Se uno cominciasse a leggere il suo ultimo libro, La Repubblica delle giovani marmotte (Utet, pagine 268, euro 15), senza guardare il nome dell’autore penserebbe di trovarsi di fronte un giovane rivoluzionario indignado e antisistema. E invece ecco spuntare il profilo rotondo di un’icona del vecchio potere democristian-andreottiano, a dire il vero uno dei mali peggiori della Prima Repubblica, se non altro per il virus letale del gestionismo.
Il titolo del volume è un chiaro omaggio sarcastico al renzismo imperante, al centro delle pagine più dure del volume. Certo, colpisce che per un democristiano cresciuto alla scuola dell’anticomunismo oggi il nemico principale sia “il mostro del capitalismo finanziario”: Pomicino dedica vari capitoli all’analisi del mostro nato e pasciuto a discapito della ricchezza reale e soprattutto con la complicità di politica e banche allineate alla paramassoneria modello Trilateral e club Bilderberg. Ma è sui pericoli dell’autoritarismo del premier capo delle nuove giovani marmotte che si soffermano le rivelazioni dell’ex ministro. Rivelazioni perché Pomicino confessa di aver tentato di convincere Napolitano, Casini e Alfano, sulla deriva antidemocratica insita in quell’altro mostro che si chiama Italicum, la nuova legge elettorale che consegnerebbe il potere a una minoranza, per giunta in una sola Camera, come prescrive la riforma costituzionale. Questo un passo della lettera inviata a Napolitano nel dicembre scorso, prima che terminasse il secondo mandato di Re Giorgio, peraltro amico di vecchia data di Pomicino: “La cosa più drammatica è la nuova legge elettorale che consisterà in un sistema nel quale prevale l’impianto della vecchia legge Acerbo di fascista memoria. In quella legge rimaneva un ‘ricordo democratico’ perché ove non si fosse superata la soglia del 25% l’assegnazione dei seggi parlamentari sarebbe avvenuta con metodo proporzionale. Nel testo che sarà approvato, invece, se la realtà non dovesse essere come la si vuole, peggio per la realtà. Infatti, a oggi, se nessuno dovesse raggiungere la soglia del 40%, si va a un secondo turno tra i due partiti che hanno raccolto il maggior numero di voti”. Di qui il governo di una minoranza facente capo a un partito personale con deputati nominati. Napolitano non ha mai risposto a Pomicino e anche per questo il presidente emerito viene indicato come uno dei mandanti di questo omicidio istituzionale. Ma il paragone più hard è riservato a Renzi: “Molti dicono che sia bravo e intelligente. Non ne ho dubbio, ma non basta. Anche Adolf lo era e, senza fare paragoni ridicoli prima ancora che offensivi, tutte le personalità che coltivano con successo l’autoritarismo politico sono brave”. Molto poi ci sarebbe da scrivere sull’analisi intelligente dei mali della Prima Repubblica, dal trasformismo all’eliminazione del dissenso nei partiti, ma lo spazio è tiranno e tocca accennare anche alla versione di Pomicino sulla trattativa tra Stato e mafia negli anni novanta: la trattativa ci fu ma solo tra gli stragisti di Riina e il Pds di Occhetto e Violante.