La Stampa, 1 dicembre 2015
Alla prima della Scala Giovanna d’Arco andrà in scena in un teatro blindato
Ussignur, non sarà tutto troppo tranquillo? I dubbi della milanesissima collega di lungo corso sono quelli di tutti. Manca una settimana a Sant’Ambroeus e prima della «prima» alla Scala sembra regnare la calma, benché non piatta. Ieri c’è stata la presentazione ufficiale di Giovanna d’Arco, il Verdi scelto per l’inaugurazione che non è certo uno dei sempreVerdi più frequentati, dunque nemmeno dei più rischiosi.
Alexander Pereira faceva notare che sono 170 anni esatti dalla prima assoluta, sempre alla Scala, e 150 dall’ultima ripresa in loco, con Teresa Stolz interprete favorita, amica e forse qualcosa di più del Maestro. Ora, si suppone che nemmeno i loggionisti più brontosaurici l’abbiano ascoltata e quindi possano fare le pulci alla Giovanna di oggi, Anna Netrebko, ululando che la Stolz era meglio.
Atmosfera rilassata, dunque, benché qualche scontro, in sei settimane di prova, ci sia stato, ma pare non grave. Riccardo Chailly, al suo primo 7 dicembre da direttore principale, alla validità dellaGiovanna crede da tempi non sospetti: ci inaugurò anche una delle sue stagioni al Comunale di Bologna. Ripete che non è un Verdi minimo e nemmeno minore, ma una tappa fondamentale del suo percorso artistico: lo stesso Verdi, del resto, la pensava così.
I tre protagonisti sono appunto la Netrebko, il tenore Francesco Meli che fa il re innamorato di Giovanna e il baritono Carlos Alvarez, il padre di lei. Tutti sorridono, fanno gli scongiuri e dicono le banalità d’uso: grande onore, grande preoccupazione, grande responsabilità, abbiamo lavorato molto e bene, eccetera. Gli osservati speciali sono però i registi duali, una coppia nella vita e all’opera, Moshe Leiser e Patrice Caurier, per la prima volta alla Scala. La loro idea è forte e coerente, ma l’hanno già raccontata in anteprima a La Stampa e quindi è inutile tornarci sopra.
Di certo non ci sarà l’atteso scandalo per colpa dei registi cattivi o, come si dice in cretinese, «provocatori». La Giovanna jihadista è una boutade mediatica, non si vedranno riferimenti alle ultime tragedie parigine «perché il teatro non sono le news» e nemmeno alla politica: «Lo sappiamo che il personaggio di Giovanna, in Francia, è stato sequestrato da Marine Le Pen. Certe icone possono anche essere pericolose, anzi in generale è pericoloso giocare con Dio», spiegano i due. Parole, è il caso di dirlo, sante.
I reperti assiro-milanesi della seratona di gala possono dormire sonni tranquilli: Giovanna indossa la corazza regolamentare e c’è perfino il rogo (ma solo evocato), che pure in Schiller e di conseguenza in Verdi non compare, però le sciure l’aspettano perché per loro Giovanna non può che finire flambé. Tutto, ed è l’unico dettaglio che potrà sconcertarle, si svolge però nella camera da letto di lei, una nevrotica dall’immaginazione sfrenata e alienata, fra Donizetti e Charcot.
Non ci saranno Mattarella né Grasso né Boldrini: la Scala aspetta una risposta da Renzi. Si parla molto delle misure di sicurezza, sempre imponenti, stavolta di più. Oltre a Leiser & Caurier, debutteranno alla Scala i metal detector. Sgradevole ma inevitabile: all’Opéra li hanno già messi. In ogni caso, ieri sera c’erano ancora 21 posti disponibili.