La Stampa, 1 dicembre 2015
Salah ha beffato gli 007 europei e se n’è tornato in Siria
Ventisei anni, alto un metro e 75, occhi marroni. E una foto del suo viso, la faccia di un giovane qualsiasi (i suoi amici dicono che è «belloccio» e che «piace alle donne»), i capelli appiattiti dal gel. Eccolo, Salah Abdeslam, nemico pubblico numero uno, il fuggitivo degli attentati di Parigi del 13 novembre: ricercato affannosamente in Francia e in Belgio e da tutte le polizie europee. Volatilizzato. Ebbene, Salah sarebbe ricomparso. Ma nella Siria dello Stato islamico.
Lo hanno indicato fonti dei servizi segreti francesi alla tv americana «Cnn». Ma la notizia già circolava da giorni in altri media. Restano, in ogni caso, tanti dubbi sul suo conto. Perché Salah non si è immolato come kamikaze, al pari del fratello Brahim (di cinque anni più vecchio), esploso al Comptoir Voltaire, un bar dell’undicesimo arrondissement? All’ultimo momento ha avuto paura e vi ha rinunciato? O era già tutto calcolato fin dagli inizi? Nei giorni successivi addirittura era spuntata una pista che persino l’Isis – oltre che le polizie di mezza Europa – erano sulle sue tracce per punirlo per la sua «vigliaccheria».
Dissimulazione
Salah e Brahim, di nazionalità francese (i genitori, di origini marocchine, hanno vissuto nell’Algeria ancora dominata da Parigi), hanno sempre abitato a Molenbeek, uno dei 19 comuni di Bruxelles, diventato un covo di futuri jihadisti. Assieme gestivano un bar, Les Béguines, strano posto dove si beveva e si fumavano spinelli, tanto che ad agosto la polizia l’aveva chiuso temporaneamente. Intanto, però, guardavano video dell’Isis su un computer: Brahim, in particolare. Qualcuno ha invocato la «taqiya», tecnica di dissimulazione insegnata a questi giovani jihadisti: si infrangono le regole dell’islam, pur di passare inosservati. In ogni caso, Salah, che ha avuto diversi problemi con la giustizia per furtarelli vari, era «costantemente nell’eccesso – ha rivelato un amico –. Non valeva neanche la pena andarlo a cercare prima delle 15, tanto non era sveglio. Usciva la sera, dormiva, usciva, dormiva: era sempre un po’ stonato». E poi le donne, apparentemente una diversa ogni notte. Il fratello Mohamed aveva solo notato «una vita un po’ più sana negli ultimi tempi». Ma non si era preoccupato, anzi. Quanto alla famiglia, rispettata e per niente marginale.
L’aiuto degli amici
Veniamo a quel fatidico 13 novembre. Di sicuro si sa che Salah era alla guida della Clio che accompagnò il commando allo Stade de France. L’auto è stata poi ritrovata nel 18° arrondissement. Al momento della rivendicazione da parte dell’Isis, era stato annunciato un attentato anche in quella parte di Parigi, mai realizzato. La polizia francese ha effettuato ricerche sulla base del suo cellulare, individuato poche ore dopo a Montrouge, dall’altra parte della città, dove poi è stata trovata, in un cassonetto, una cintura esplosiva. Salah si sarebbe tirato indietro all’ultimo momento? Quella notte chiamò in aiuto due amici di Molenbeek, che guidarono precipitosamente fino a Parigi. Di ritorno nella sua città, Salah passò nell’auto di un altro amico. «Non mi vedrai mai più», gli disse, facendosi lasciare in un posto non ben definito dell’agglomerato di Bruxelles. E non l’ha visto più nessuno.
Domenica la polizia belga aveva effettuato altre perquisizioni a Molenbeek. Sicuri di scovarlo. Ma niente da fare. E ora le ultime indiscrezioni: Salah si troverebbe in Siria. D’altra parte in agosto era già stato controllato a più riprese fra Bari e diverse località in Grecia, sulla strada di un viaggio andata e ritorno verso la Siria: la strada la conosceva e ha trovato amici e alleati lungo il percorso di rientro sembra. «Forse era previsto fin dagli inizi che fosse l’unico a ritornare nello Stato islamico – sottolinea David Thomson, giornalista francese e specialista del jihadismo –, perché fosse l’ultima beffa a tutti i servizi segreti europei».