la Repubblica, 1 dicembre 2015
Pieraccioni non racconta più storie d’amore: «Ho cinquant’anni, sono diventato padre, mi sono separato e comincio a supporre che la famiglia del Mulino Bianco non esista»
«Non ho mai chiuso un film con “e vissero felici e contenti”, ho sempre lasciato un punto interrogativo, ma adesso farei separare la coppia dopo sette, otto anni». Il Pieraccioni regista di teneri intrecci amorosi non c’è più e non c’è più neanche l’interprete del protagonista carino, dal sorriso buono, disarmante e un tantino scemo che si lasciava incantare dalla bella di turno. «Non c’è più perché sono cambiato io. Ho cinquant’anni, sono diventato padre, mi sono separato e comincio a supporre che l’amore e la famiglia del Mulino Bianco non esistano. L’85 per cento dei miei amici ha sfasciato la famiglia. E non quelli che fanno ’sto mestiere del cinema, per loro vale la regola dei cani, ogni anno da sposato ne vale sette, perché siamo tutti nevrotici, partiamo a fare un film, l’attrice sembra la donna della nostra vita, chiuso il set capiamo che non lo era, nel frattempo abbiamo fatto grandi casini».
Non tutti, pensi al suo amico Giovanni Veronesi…
«Giovanni è un miracolato, sta da 12 anni con Valeria Solarino, li vedi insieme che sembrano dipinti da Peynet, con uno sbaglio però, lei è un gioiello, lui è brutto anche se simpatico e intelligente. Ma è la super eccezione che conferma la regola, ormai anche Minnie e Topolino sembra si siano separati. Fino a 35, 36 anni pensavo che poteva succedere anche a me una vita meravigliosa come in Fuochi d’artificio, con Mandala Tayde, una bellezza eccezionale. Adesso, fatto il punto della situazione, ho capito che non racconterò più storie d’amore, ne ho abusato. L’incanto di certi personaggi non ce l’ho più e non ho più neanche la faccia giusta».
E quindi chi è “Il professor Cenerentolo”, il suo film di Natale?
«Un disgraziato, l’ingegnere Umberto Massaciuccoli, che ha una società di ristrutturazioni. È anche bravo, ma secondo la tendenza becerissima di oggi i liberi professionisti lavorano ma non sempre vengono pagati. Perciò tenta un colpo in banca che gli frutta quattro anni di carcere a Ventotene, dove ottiene di lavorare di giorno in biblioteca e rientrare a mezzanotte come Cenerentola. Durante un dibattito conosce Morgana, Laura Chiatti, una donna strana, ha il 25 per cento di invalidità mentale, non necessariamente arriverà all’amore. Il problema del mio personaggio è riconquistare la fiducia della figlia di 14 anni che, proprio nel momento delicato dell’adolescenza, è costretta ad andarlo a trovare in carcere e si vergogna del babbo ladro».
È un omaggio a Monicelli e a “I soliti ignoti”?
«Sicuramente, è uno di quei film che ti rimangono dentro. Un altro omaggio è il costume di Ceccherini che ricorda quello del personaggio di Capannelle».
Monicelli diceva di essere incapace di girare scene di sesso a letto. E lei?
«In genere le giro con le coperte addosso e dopo neanche venti secondi mi sposto su un abat-jour che si spegne. In questo film il sesso c’è tra Ceccherini e una sposina. Avevo girato con lei prona e lui dietro, poi ho pensato alla mia figliola Martina di 5 anni, mi avrebbe chiesto perché quella posizione, lei nella serie Frozen vede quelli che si baciano uno di fronte all’altro. Allora ho sdraiato Ceccherini e lei sopra, l’effetto è anche più comico, lei pesa 160 chili».
Si può definire “Il professor Cenerentolo” una commedia cattiva?
«Buona non è. Nel film mi diverto ad essere scorretto, per salvarmi il culo non esito a rubare un cane a una ragazzina, trovo dei soldi e me li metto in tasca e non perdo tempo in smancerie romantiche con la donna, voglio arrivare subito al sodo. Ormai sono quel personaggio lì, un tempo pensavo di essere più bello di altri comici, ora ho smesso di guardarmi al monitor a cercare il profilo migliore, adesso si mette la macchina e si gira. Del resto la scorrettezza ha sempre fatto divertire, Totò, Sordi, Gassman, Tognazzi raramente hanno fatto personaggi buoni o buonisti».
Da “I laureati” a oggi, vent’anni di carriera e di successi: è quasi una favola?
«Una favola basata sulla fortuna di avere sempre il pubblico dalla mia parte, da quando si faceva Teleregione con Carlo Conti e Panariello. Solo per questo gli addetti ai lavori si sono incuriositi, altrimenti non avremmo fatto niente, non siamo veri attori. Tanto che se i miei spettacoli in teatro andavano bene, nei provini sono sempre stato bocciato, perché io ho bisogno di costruirmi il personaggio, di scrivermi le mie cose. Il cinema è arrivato grazie a Vittorio e Rita Cecchi Gori, è stato un incontro fortunato perché mi avevano visto in teatro ed erano rimasti colpiti dal calore del pubblico».
Ha conosciuto Matteo Renzi?
«Lui veniva a vedere i nostri spettacoli, stava sempre in prima fila. E meno male che non ha fatto il comico, avrebbe portato via il lavoro a tutti, laddove noi facciamo spettacoli di un’ora e mezzo, lui alla Leopolda va avanti anche a notte, gli basta un panino alla finocchiona, una foto della Boschi sulla sinistra e recupera tutta l’energia necessaria, ha un’energia che prende di tacco anche Berlusconi. Secondo me dentro Renzi c’è Benigni, Nuti, Genovesi, tutto lo scibile toscano, anche Paolo Poli. Che è il mio mito, con la sua coerenza, la lucidità, l’ironia feroce, la snobberia micidiale. Sogno di lavorare con lui, ci ho provato per due, tre film. La risposta è sempre la stessa: “Ti ringrazio, ma il cinema mi invecchia”».