la Repubblica, 1 dicembre 2015
Come abbiamo catturato il virus dell’Ebola
La Food and Drug Administration lo aveva definito il “missing link”: l’anello mancante, quello che ancora serviva per assestare all’HIV un colpo (quasi) mortale. Un kit diagnostico in grado di testare su ogni paziente infetto la sensibilità del virus ai farmaci e dunque la resistenza, vera bestia nera di chiunque tentasse di curare l’Aids negli anni critici dell’epidemia. A metterlo a punto, alla fine degli anni Novanta, era stata la Tibotec-Virco, una piccola biotech fondata da un medico e ricercatore belga, Paul Stoffels. Uno che si era formato proprio a stretto contatto con i virus che vengono dall’Africa e fanno paura. Stoffels – che oggi è Chief Scientific Officer di Johnson& Johnson – ha preso contatto con le epidemie letali sul campo in Congo e in Ruanda, cioè proprio nelle aree nelle quali sono stati identificati i primi pazienti con Hiv e poi con Ebola. E proprio questa esperienza gli ha consentito di individuare meglio i punti deboli dei suoi avversari, i virus.
Dall’Africa, il medico belga ha poi portato il suo senso per i virus nei laboratori della farmaceutica Janssen dove, racconta: «avevamo individuato un nuovo target per gli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa, ovvero quelle sostanze capaci di bloccare Hiv perché inibiscono un enzima virale essenziale», ricorda Stoffels. Ma la prima molecola testata non funzionò, così come non funzionarono altre sperimentate successivamente. «Non riuscivamo a capire il perché. Vedevamo qualche effetto clinico, ma di breve durata: il paziente stava meglio, ma dopo due settimane, diventava resistente ai farmaci che utilizzavamo. Allora provavamo con un’altra sostanza, ma dopo altre due settimane anche questa perdeva efficacia», ricorda Stoffels.
Lo scenario era quello della rincorsa a trovare sempre nuovi farmaci capaci di contrastare l’Hiv, che, si cominciava a capire, non sarebbe mai stato vinto da una sola sostanza. L’obiettivo era mettere a punto delle combinazioni abbastanza efficaci. Ma l’ostacolo quasi insormontabile è proprio nella estrema variabilità del virus. L’Hiv è in grado di cambiare il 10 per cento del suo genoma a ogni replicazione. Ogni tre giorni, una persona infettata ha una popolazione virale completamente nuova, che sfugge alle maglie dei farmaci e sottopone il sistema immunitario a un tale super-lavoro da costringerlo alla resa. Comprendere esattamente quando insorge la resistenza era la chiave di volta per battere Hiv sul tempo. «Così ci concentrammo su questo aspetto, e mettemmo a punto un kit diagnostico per verificare la sensibilità del virus alle diverse molecole», ricorda il virologo. La prova del fuoco del kit è il test sui pazienti di un grande ospedale di San Francisco, all’epoca il cuore dall’epidemia di Aids. I risultati furono così incoraggianti da ottenere l’approvazione dell’ente regolatorio americano. «Gli ospedali di mezzo mondo ci inviavano i campioni di migliaia di pazienti, per verificare la presenza di resistenza».
Le competenze sviluppate con Tibotec- Virco nella lotta ad Hiv, che combinava l’analisi del virus con la ricerca di nuove terapie, tornano in campo contro Ebola. «Il ceppo kikwit Zaire arrivava proprio dai luoghi nei quali avevo lavorato tanto tempo prima», ricorda Stoffels. Per sviluppare un vaccino, il virologo attiva una collaborazione con Crucell, una biotech che lavorava su Ebola grazie ai fondi antiterrorismo del governo americano. «I nostri dati – spiega – dicevano che con la strategia prime-boost (una doppia vaccinazione in cui un vaccino prepara il sistema immunitario (prime) e un altro vaccino, somministrato a intervalli predefiniti, stimola nuovamente questo effetto rafforzandolo (boost)) potevamo avere una protezione immediata e una a lungo termine. Ne abbiamo testato la validità su modelli animali, con successo. E ora abbiamo appena annunciato l’avvio di un trial clinico in Sierra Leone per valutare uno schema di vaccinazione preventivo contro Ebola. L’arruolamento dei pazienti è in corso e i primi volontari hanno già ricevuto la dose iniziale di vaccino».
Ora la lotta ai virus ha nuove emergenze. «Abbiamo i farmaci, ma, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dobbiamo migliorare l’aderenza alla terapia – conclude Stoffels – in alcune regioni dell’Africa rifornimento e distribuzione di farmaci sono difficilissimi. E basta saltare tre giorni di terapia perché un virus come Hiv sviluppi resistenza. L’obiettivo è un medicinale costituito da un’iniezione mensile».