la Repubblica, 1 dicembre 2015
Lo yuan è diventato una moneta di riserva. Conseguenze
Da oggi la Cina è ancora più vicina. La sua moneta diventa un po’ più simile al dollaro e all’euro. La decisione viene dal Fondo monetario internazionale che ha deciso di ammettere il renminbi (o yuan) tra le sue monete ufficiali. È una vittoria per il presidente Xi Jinping che ne aveva fatto uno degli obiettivi della sua politica economica. Tecnicamente la decisione del Fmi include il renminbi tra le valute che compongono il paniere dei Diritti speciali di prelievo (Dsp), usati per esempio nelle operazioni di salvataggio di Stati sovrani. Questo significa che il governo di Pechino avrà più voce e un ruolo maggiore negli interventi del Fmi. Di riflesso, l’ammissione nel paniere dei Dsp spingerà diverse banche centrali a includere il renminbi nelle loro riserve ufficiali. È soprattutto un passaggio politico, che sanziona la “normalità” della Cina anche nei suoi rapporti con i mercati finanziari. La direttrice del Fmi, Christine Lagarde, ha detto che si tratta di “una pietra miliare verso l’integrazione dell’economia cinese nel sistema della finanza globale, il riconoscimento del progresso che le autorità cinesi hanno realizzato negli ultimi anni nel riformare i loro i mercati”.
Includere il renminbi tra le valute ufficiali del Fmi, ha aggiunto la Lagarde, dovrebbe dare maggiore stabilità all’economia mondiale. Lo yuan peserà per il 10,9% del paniere, dietro al dollaro Usa (che pesa il 41,7%) e all’euro (30,9%) ma davanti allo yen giapponese e alla sterlina.
Quest’estate, è proprio in vista degli esami del Fmi che la banca centrale aveva avviato una svalutazione del renminbi. Inizialmente quella mossa fu accolta con timore dai mercati finanziari.
Sia gli Stati Uniti che l’Europa ebbero il timore che fosse iniziata una svalutazione competitiva, un nuovo capitolo della “guerra delle monete”, per rilanciare la competitività del made in China. Col passare dei mesi però il riallineamento si è fermato, in retrospettiva si può parlare di una mini-svalutazione. Pechino la giustificò come un passaggio verso un maggiore ruolo delle forze di mercato nello stabilire le parità esterne della sua moneta: una delle riforme richieste dal Fmi.
Il riconoscimento avviene in una fase in cui la Cina punta a un ruolo maggiore come potenza finanziatrice degli investimenti altrui. Ha creato una banca pubblica internazionale, sul modello della Banca Mondiale, per finanziare la costruzione di grandi opere e infrastrutture in Asia, l’Aiib, accogliendo al suo interno anche Stati europei come azionisti (Inghilterra, Germania, Francia, Italia). Un piccolo ma significativo passo verso un’architettura finanziaria alternativa rispetto alle istituzioni volute da Washington nella conferenza di Bretton Woods (1944) cioè Fmi e Banca Mondiale.
In parallelo avanza anche l’uso del renminbi sui mercati finanziari. Crescono le emissioni di bond in valuta cinese, e Londra si è conquistata un ruolo di piattaforma internazionale per gli scambi in questi titoli. Michael Bloomberg, ex sindaco di New York starebbe lavorando a un progetto per portare il trading del renminbi anche sulla piazza di New York. La prossima tappa dovrebbe essere la piena convertibilità della moneta, sulla quale tuttora esistono alcune restrizioni ai movimenti con l’estero.