Corriere della Sera, 1 dicembre 2015
La Bce ha un problema: il consiglio di vigilanza guidato Nouy pone vincoli alle banche mentre Draghi prepara nuove dosi di quantitative easing. Un difficile equilibrio
Qualunque sia la soluzione che sceglieranno domani e giovedì quando si riuniscono a Francoforte, quasi tutti i banchieri centrali europei avranno un solo obiettivo: facilitare il credito, favorire la ripresa e battere la deflazione. Ma qualunque sia l’obiettivo, i regolatori della stessa Banca centrale europea rischiano di centrare il risultato opposto con le lettere spedite in questi giorni a circa 130 banche nell’area: frenare i prestiti alle imprese, perché questi ultimi vengono subordinati all’obbligo imposto alle banche di ridurre i rischi e rafforzare rapidamente il patrimonio. È così che Eurolandia rischia di trovarsi in un equilibrio paradossale: liquidità sovrabbondante, denaro in offerta gratuita, e banche riluttanti a farlo circolare.
Da un anno la Bce è un’istituzione strutturata in due parti. Da un lato c’è la banca centrale presieduta da Mario Draghi, impegnata in una politica monetaria di stimolo all’economia dopo la recessione; dall’altro il Consiglio unico di vigilanza presieduto dalla francese Danièle Nouy, che proprio questa settimana sta attivando nuovi vincoli al nomale funzionamento delle banche.
I due rami della Bce non hanno pari poteri. Formalmente ha l’ultima parola il Consiglio direttivo, dove siedono i governatori della banche centrali nazionali e i sei componenti dell’esecutivo di Francoforte, compreso Draghi. Come tutti i colleghi in Consiglio, il presidente dell’Eurotower evita di interferire nella vigilanza e si limita ogni volta a dare il suo «non object»: nessuna obiezione alle scelte. Tutti sono attenti a far sì che chi sorveglia sulla solidità delle banche, lo possa fare in autonomia e senza dover sottostare a priorità diverse.
Ora però questo equilibrio è alla prova, secondo alcuni osservatori del mondo bancario internazionale. Mentre Draghi prepara nuove dosi di «quantitative easing» – la creazione massiccia di denaro da iniettare nell’economia comprando titoli di Stato – nella Bce iniziano a affiorare nuove domande. Danièle Nouy ha l’appoggio di Draghi nella missione di vigilanza sulle banche, anche a costo di spingerle a rallentare le attività di credito per rafforzarsi. Ma il presidente della Bce sembra sempre più convinto, secondo gli osservatori, che le autorità di vigilanza devono evitare il rischio di vanificare parte degli sforzi della Bce di rivitalizzare la ripresa. Un eccesso di pressione sugli istituti non deve disfare ciò che la Bce cerca di fare creando moneta o prestandola a interesse zero.
Il rischio è evidente. I cosiddetti «Srep», le valutazioni sulle banche condotte dalla vigilanza, si stanno chiudendo in questi giorni con le lettere riservate spedite da Francoforte a ciascuna azienda. Stavolta, oltre ai requisiti minimi di patrimonio richiesti a ciascuna banca, c’è una condizione di più: quattro livelli di patrimonio supplementare decisi in base ai rischi insiti in ciascun istituto; maggiori i rischi, più alto il patrimonio.
Il problema è ciò che accade alle banche che non superano la nuova asticella posta dalla Bce. Chi è al di sotto deve sospendere il pagamento dei dividendi azionari, delle cedole su almeno parte delle obbligazioni e qualunque bonus; se serve, deve anche ridurre il credito e vendere attività. Persino superare i nuovi requisiti voluti da Nouy, ma non di molto, può risultare insufficiente: gli investitori rischierebbero di vendere comunque azioni e obbligazioni, nel timore di essere colpiti in futuro. Le banche devono dunque continuare a accumulare patrimonio, proprio mentre per loro finanziarsi diventa di colpo più costoso e difficile. Non esattamente ciò che voleva la Bce, quando ha iniziato a stampare oltre mille miliardi di euro pur di dare ossigeno alla ripresa.