Corriere della Sera, 1 dicembre 2015
La medicina digitale è un mercato tra i 90 e i 160 miliardi di euro che promette miracoli, o quasi
Se c’è un settore dove la rivoluzione digitale promette effetti dirompenti sulla vita quotidiana di ognuno di noi, quello è la sanità. Gli analisti internazionali vedono nella cosiddetta e-Health una miniera d’oro per l’economia, con un mercato globale stimato tra i 90 e i 160 miliardi di euro.
La sanità elettronica è considerata un’evoluzione quasi naturale delle cure nell’era digitale, destinata a spostare sempre di più terapie e monitoraggio dei pazienti fuori dall’ospedale, spinta anche per la sempre maggiore disponibilità di sensori e app dedicati.
L’Unione Europea stima che un telemonitoraggio a casa dei malati di cuore potrebbe migliorare i tassi di sopravvivenza del 15%, mentre si potrebbe ridurre il numero di giorni passati in ospedale del 26% e di conseguenza risparmiare il 10% dei costi sanitari. Usando inoltre le ricette elettroniche, si potrebbero ridurre gli errori di aderenza terapeutica del 15%. Si prevede inoltre che l’e-Health sarà fondamentale per mantenere la sanità accessibile e alla portata di tutti nelle società europee che invecchiano.
Dati dell’Organizzazione mondiale della sanità alla mano, l’Italia è il Paese «più vecchio» d’Europa con il 21,4% dei cittadini over 65 e il 6,4% over 80, ed è secondo al mondo preceduto solo dal Giappone. Deve perciò fare i conti, più degli altri, con l’aumento delle malattie croniche e la diminuzione delle risorse disponibili, alla ricerca di una formula che permetta di salvare un sistema sanitario riconosciuto tra i migliori esistenti. Non a caso il governo ha inserito la sanità digitale tra i pilastri della riforma della pubblica amministrazione, uno dei capisaldi dell’Agenda digitale nazionale: Centri unici di prenotazione (Cup) telematici; Fascicolo sanitario elettronico (Fse); ricette elettroniche; certificati telematici e telemedicina sono alcuni degli ambiti in cui si stanno promuovendo iniziative di sanità in Rete.
Il nuovo rapporto medico-paziente
La sanità digitale sta anche definendo un nuovo paradigma nel rapporto medico-paziente, con quest’ultimo chiamato a svolgere un ruolo sempre più attivo nel mantenimento e nel miglioramento della propria condizione di salute.
Oggi sanità elettronica vuole dire mobile «Health» (un tipo di assistenza che sfrutta le potenzialità di dispositivi mobili come i cellulari, gli smartphone o i tablet), telemedicina, comunità online, sanità robotica (dai sistemi per la produzione di farmaci «su misura», ai robot chirurgici; dagli armadi farmaceutici automatizzati, ai carrelli robotizzati per la distribuzione di terapie), tecnologie indossabili (indumenti muniti di sensori che trasmettono parametri vitali), ingeribili (pillole «intelligenti») e impiantabili, stampa in 3D di protesi e ausili.
Ma qual è la situazione in Italia? Arriveremo anche noi a sposare con entusiasmo l’idea di un «medico digitale» e di una visita a distanza fatta «dal divano di casa», che negli Stati Uniti si sta velocemente diffondendo come spiega un recente articolo del Time ? I tempi non saranno così rapidi. Se l’Unione Europea nel suo complesso sconta un ritardo di almeno 10 anni nell’applicazione della tecnologia informatica all’ambito dell’assistenza sanitaria, da noi la sanità federalista ha prodotto 21 sistemi diversi e la solita sconsolante situazione a «macchia di leopardo» con Regioni all’avanguardia e altre ancora ferme quasi agli albori del digitale.
Senza esserne ancora del tutto consapevoli, tuttavia, la sanità digitale ce l’abbiamo già in tasca. Sta racchiusa in un rettangolo di plastica blu (ocra, in Lombardia). La usiamo quando il nostro medico ci prepara una ricetta, comperiamo le medicine in farmacia o andiamo in ospedale per un esame o un ricovero, prenotiamo visite e analisi sui Centri unici di prenotazione online, oppure leggiamo e stampiamo i referti e gli esami a casa o da terminali in ospedale e nelle Asl. Ora la tessera è diventata anche Carta nazionale dei servizi: un microchip, ed è questa la novità, permette infatti l’accesso sicuro ai servizi in rete offerti dalla pubblica amministrazione come finora accadeva solo in Lombardia che il microchip lo aveva già inserito sulle tessere dei lombardi dieci anni fa.
L’archivio personale
La tessera è la chiave per accedere al Fascicolo sanitario elettronico, la vera «architrave» del palazzo della sanità digitale italiana, dove sono (o saranno) depositate le nostre informazioni sui ricoveri in ospedale, le visite specialistiche, le prestazioni farmaceutiche, l’assistenza residenziale, l’assistenza domiciliare e gli accessi al Pronto soccorso. Dunque in teoria, dopo avere abilitato la Carta sanitaria (occorre attivarla presso uno degli sportelli abilitati presenti nella propria regione) ogni cittadino può consultare il proprio Fascicolo. In teoria perché il Fascicolo è partito a pieno regime solo in quattro Regioni – Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana e Provincia autonoma di Trento – seguite da Veneto e Sardegna. Il ministero della Salute ha dovuto concedere una proroga fino a fine anno, per consentire a tutte di creare almeno il nucleo minimo di informazioni previsto. Ma soprattutto il Fascicolo non è ancora entrato a far parte della «routine» quotidiana né del personale sanitario, né dei cittadini.
Dieci milioni di «informati»
Almeno 10 milioni di italiani hanno già attivato o conoscono il Fascicolo. La maggior parte però ancora non sa cosa sia, non lo utilizza e non si dimostra neppure molto interessato. In generale, la stessa considerazione vale un po’ per tutti i servizi digitali in sanità. Questa almeno è la fotografia scattata da un’altra indagine dell’Osservatorio Innovazione digitale in sanità del Politecnico di Milano, in collaborazione con Doxapharma, su un campione di 1.000 persone sopra i 15 anni rappresentative della popolazione italiana.
E non fanno eccezione neppure i cosiddetti «millennials» – cioè i nati tra gli anni Ottanta e i primi anni Duemila nel mondo occidentale – che pure nell’ultima indagine del Deloitte Center for Health Solutions sono indicati come i più propensi, almeno negli Stati Uniti, a usare la tecnologia per monitorare il proprio stato di salute e anche per confrontare le prestazioni di medici, ospedali e piani sanitari di assistenza. Da un sondaggio fra duemila studenti delle scuole superiori del Veneto condotto da Arsenàl.it, il consorzio delle 23 aziende sanitarie e ospedaliere venete per l’e-Health, è emerso che il 69% non ha mai visitato il sito web della propria azienda socio-sanitaria e il 53% non conosce i servizi di sanità digitale attivati in Regione.
Per sfruttare appieno le enormi potenzialità del digitale bisogna allora partire da una capillare opera di informazione non solo dei comuni cittadini ma anche degli operatori sanitari. Lo hanno più volte sottolineato sodalizi scientifici come la Società italiana di telemedicina e associazioni civiche come CittadinanzAttiva.
La ricetta elettronica
Sia pure a fatica e tra mille ostacoli, il mosaico della rivoluzione digitale in Italia si va componendo. La ricetta rossa scritta a mano, ad esempio, sta ormai scomparendo a favore di quella elettronica: Federfarma calcola che su circa 600 milioni di prescrizioni per farmaci rimborsati fatte ogni anno in Italia, oltre il 52% è ormai dematerializzato con punte superiori all’80% in Veneto, Sicilia, Campania e Provincia di Trento. Unico «inconveniente», finora non eliminabile, al paziente viene consegnato un promemoria di carta (con numero di ricetta elettronica, codice fiscale, eventuali esenzioni e prescrizione) per il ritiro dei medicinali in farmacia. Con il Fascicolo sanitario elettronico, anche questo problema si dovrebbe risolvere. Quando si parla di sanità digitale, si pensa subito alla telemedicina. L’Italia è stata tra i primi Paesi al mondo a sperimentarla, con la trasmissione di elettrocardiogrammi a distanza a partire dal 1970, e con l’impiego della videocomunicazione per il consulto remoto e lo scambio d’informazioni, immagini diagnostiche e referti nei vari settori delle scienze mediche. Centinaia i progetti messi in campo: dal teleconsulto con le isole minori al monitoraggio clinico e cardiologico per le carceri di massima sicurezza fino al monitoraggio e all’assistenza medica alle navi in navigazione. Alcuni sono ormai consolidati. Spesso invece restano solo a livello di sperimentazione per mancanza di fondi.
L’Italia, una fra le poche nazioni al mondo, ha emanato l’anno scorso le Linee guida sulla telemedicina e ancora tuttavia non si è riusciti a rimuovere uno degli ostacoli principali alla sua diffusione, cioè la previsione di una tariffa dei servizi e delle prestazioni offerte. A livello internazionale, i benefici dei programmi di telemedicina sono scientificamente dimostrati. Lo studio Whole System Demonstrator Programme, il più grande finora effettuato, su 6.200 pazienti inglesi con patologie croniche come diabete, insufficienza cardiaca o broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco) seguiti in teleassistenza, ha registrato una riduzione del 45% nella mortalità e del 20% in ricoveri al Pronto soccorso.
E non è finita: la tecnologia digitale su smartphone promette di cambiare il volto della sanità una volta per tutte. Le 5 mila app già in circolazione in Italia stanno a testimoniarlo.