Corriere della Sera, 1 dicembre 2015
«I Paesi che hanno inquinato di più dovrebbero finanziare gli sforzi dei Paesi più poveri». L’India di Modi guida il dissenso
Si sono seduti uno accanto all’altro, alla testa di un lungo tavolo vuoto, e si sono pure tenuti per mano. Il presidente Usa Barack Obama e il premier dell’India Narendra Modi, al termine dell’incontro bilaterale di ieri, hanno concordato che il «cambiamento climatico è una minaccia imminente». La sintonia fra i due leader non va oltre queste poche parole.
Il vertice di Parigi è il primo vero banco di prova sulla scena internazionale per il capo del governo indiano. Al potere da quasi un anno e mezzo, è uno dei protagonisti indiscussi della Cop21. Dopo l’intesa raggiunta fra Cina e Usa sulle reciproche riduzioni delle emissioni climalteranti (per ora solo promesse ma efficacemente annunciate), tutti aspettavano al varco l’altro, recalcitrante, gigante asiatico, l’India. Modi non s’è fatto pregare e ieri ha spiegato nero su bianco, sul Financial Times, qual è il suo pensiero – e la sua sfida al mondo occidentale – facendosi paladino delle istanze non soltanto del suo popolo ma di tutti i Paesi in via di sviluppo.
Augurandosi «un impegno globale collettivo che bilanci responsabilità e capacità da un lato con aspirazioni e necessità dall’altro», ha ribadito come i Paesi industrializzati, «che hanno alimentato la loro strada verso la prosperità con i combustibili fossili», debbano continuare a farsi carico degli sforzi più gravosi per ridurre la pressione antropica sul pianeta. «Qualsiasi altra cosa sarebbe moralmente sbagliata», secondo Modi: «La giustizia richiede che, con quel poco di carbone che possiamo ancora bruciare, si permetta ai Paesi in via di sviluppo di continuare a crescere. Lo stile di vita di pochi non può togliere spazio alle opportunità per i molti ancora sui primi gradini della scala dello sviluppo».
Stati Uniti ed Europa vorrebbero convincere i Paesi in via di sviluppo a prendere impegni vincolanti per ridurre le emissioni di gas serra. L’India, invece, insiste sul principio delle «responsabilità differenziate» e sulla necessità che i Paesi che fin qui hanno inquinato di più finanzino gli sforzi dei Paesi più poveri e si impegnino a trasferire tecnologie low cost.
In cima alla lista dei «grandi inquinatori», oggi, ci sono Cina (30%), Stati Uniti (15%), Unione europea (10%) e India (6,5%). Quest’ultima, secondo una recente analisi, emetterà da qui al 2030 tra 56,9 miliardi e 59,1 miliardi di tonnellate di gas serra all’anno, dal 58 al 64% in più rispetto alla quantità stimata dagli scienziati per limitare l’aumento globale delle temperature entro i 2°C. Ma è pur vero che nel 2012, le emissioni di CO2 procapite degli indiani erano appena 1,6 tonnellate rispetto alle 16,4 degli Usa e alle 7,1 della Cina. E nel 2030 l’India non raggiungerà le 5 tonnellate procapite.
«Faremo la nostra parte», promette il leader Modi, che alla vigilia del vertice si è impegnato, entro il 2030, a ridurre del 33% il rapporto tra emissioni e Pil rispetto ai livelli del 2005 e a produrre entro la stessa data il 40% dell’energia elettrica da fonti rinnovabili. Ieri ha proposto anche un’«alleanza solare» tra 121 Paesi situati nella fascia tropicale. E forse proprio da qui potrebbe ripartire la collaborazione – e il transfer di know how – con il mondo industrializzato.