la Repubblica, 1 dicembre 2015
A Di Maio non dispiacerebbe essere il leader del M5S: «Sono onorato, ma il Movimento non dipende da nessuno. Tanto meno da me»
«Che non siamo un fuoco di paglia non lo dicono solo i sondaggi. Sono i cittadini a percepire che grazie a noi sta scomparendo lo spread tra le parole e i fatti, quello spread che il governo Renzi contribuisce a innalzare». Luigi Di Maio è a Roma dopo un fine settimana passato sul territorio: prima a Novara, poi in Veneto, dove ha incontrato imprese e studenti, dov’è andato a mostrare il nuovo volto del Movimento 5 Stelle. Quello disegnato ieri su Repubblica dalle Mappe di Ilvo Diamanti, l’identità di un partito sempre meno affidato al suo fondatore e sempre più rappresentato dalle facce nuove di Di Maio e Di Battista (il 50 per cento degli elettori M5S vede come leader “preferito” il vicepresidente della Camera, il 13 per cento il deputato romano, solo il 10 Beppe Grillo, che due anni fa viaggiava intorno al 77 per cento. Era solo, adesso quasi non c’è).
«In Veneto grazie ai tagli ai nostri stipendi confluiti nel fondo per il microcredito – racconta Di Maio – sono già nate 40 nuove piccole imprese delle 400 previste. Sono queste cose che ci premiano, non le nostre facce». Ancora una volta, colui che è considerato il candidato premier naturale del Movimento alle prossime elezioni politiche – e che così viene gestito dalla comunicazione della Casaleggio Associati – fa attenzione alla parola leader. Sa che è estranea alla logica con cui sono nati i 5 stelle, perciò spiega: «Sono lusingato, anzi la parola giusta è onorato, del consenso che mi attribuiscono i sondaggi, ma sono sicuro che il Movimento sia più forte di ognuno di noi. Che sia il simbolo a tirare. Sul blog oggi (ieri, ndr) abbiamo ricordato come da quando abbiamo cacciato Silvio Berlusconi dal Senato sia iniziato il suo declino. Il suo è un partito personale, noi invece siamo una forza il cui fondatore ha deciso di togliere il nome dal simbolo. Stiamo crescendo, il Movimento non dipende da nessuno. Tanto meno da me».È consapevole, Di Maio, che nel direttorio è anche il responsabile degli enti locali, che non sia così facile, crescere. La vicenda di Livorno – la spazzatura in strada, i lavoratori dell’azienda municipalizzata infuriati in Consiglio comunale, gli eletti locali divisi – stanno lì a dimostrarlo. Ma stavolta la prima linea del Movimento ha deciso di fare da scudo al sindaco Filippo Nogarin. Se nel caso del bilancio non approvato il direttorio aveva taciuto, se lo ha fatto quando a incontrare problemi amministrativi era stata la Parma di Federico Pizzarotti (ormai trattato come un esterno), stavolta tutti, da Roberto Fico a Paola Taverna ad Alessandro Di Battista, hanno difeso l’azione del primo cittadino toscano. Lo hanno fatto nelle interviste e nei post che stanno facendo vorticosamente girare sui social network. E su tutti lo fa proprio Di Maio, che da Livorno aveva fatto partire un suo tour dei comuni (mai decollato) qualche mese fa, e che oggi dice: «Noi stiamo semplicemente mettendo fine ai clientelismi e ai privilegi mantenuti dal Pd. I partiti e i sindacati che hanno fatto le schifezze – e che forse oggi temono di finire sotto inchiesta – sappiano che non ci intimidiranno mandando qualcuno a lasciare sacchetti di spazzatura per le strade. Farò subito un’interrogazione al prefetto di Livorno e al ministro dell’Interno per chiedere di precettare chi non sta lavorando, chiediamo che il servizio essenziale venga svolto come dev’essere». Come i suoi colleghi, Di Maio sostiene che i lavoratori saranno salvaguardati. «Cercheremo di mantenere quel che è importante per l’azienda ma diciamo no al poltronificio. In quella municipalizzata solo un dipendente su 4 è davvero uno spazzino. Non c’è un ufficio del personale, i reali servizi sono stati esternalizzati, la stessa regione Toscana ha detto che ci sono il 50 per cento di amministrativi in più di quelli che servono. Noi stiamo facendo scelte coraggiose e non ci piegheremo davanti al Pd e alla Cgil. Sfido Matteo Renzi e Susanna Camusso a chiederci di tagliare i servizi sociali per ricapitalizzare un’azienda che ha 42 milioni di euro di buco». La partita è delicata, in ballo c’è la credibilità dei 5 stelle alle prossime amministrative. È per questo che a gestirla sarà soprattutto Di Maio, così come Alessandro Di Battista segue da vicino il difficile rompicapo delle candidature per Roma e Roberto Fico lavora in prima persona a quelle per Napoli.