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 2015  dicembre 01 Martedì calendario

Il primo Natale dopo il campo di concentramento. Un ricordo di Dacia Maraini

Ricordo il primo Natale dopo due anni di campo di concentramento. A Tokyo, fra le macerie di una città distrutta dalle bombe. Mi ero ferita al ginocchio, cadendo su un pezzo di vetro. Ero pelle e ossa. Il medico americano da cui ero stata visitata, aveva dichiarato che il mio cuore «fa pensare a una melanzana tanto è asfittico». Eppure mi sentivo felice perché ero viva, perché presto, appena ci fosse stata una nave disponibile, sarei tornata nel mio Paese, perché la guerra era finita e potevo finalmente liberarmi dalle pulci, dormire la notte e riempire lo stomaco contratto dalla fame. Ricordo una bellissima festa organizzata dai soldati americani che volevano risarcirci di tanto patimento. Una sala rallegrata da festoni. Le candele che mandavano bagliori dorati sopra una tovaglia candida. Un albero guarnito di palle rosse e bianche che scintillavano contro le foglie verde scure dell’abete. Un soldato che cantava accompagnandosi con la chitarra. Un altro si chinava su noi bambine offrendoci bastoncini di zucchero che a me parevano le bacchette magiche di una fata benefica. Una famiglia laica la nostra. Eppure ci riconoscevamo in quella festa, in quell’albero, in quel canto. Era la fine della guerra e l’albero, più che la nascita di Cristo, rappresentava per noi la vita riconquistata. Gli americani erano i salvatori e quella era la festa della libertà. Non capisco chi vuole censurare i rituali di un popolo per «rispetto verso altri rituali». Solo rafforzando le nostre identità possiamo confrontarci con altre culture, altre tradizioni, altre religioni. Accogliere non vuol dire appiattirci e censurare le nostre memorie. Semmai aggiungiamo altre feste al nostro calendario, ma non dimentichiamo che «non possiamo non dirci cristiani». Anche per chi non si considera credente, praticante, il Natale rappresenta una festa familiare, in cui si celebra la gioia di stare insieme e di regalarsi dei pensieri amichevoli. Un giorno così vicino poi al grande passaggio da un anno all’altro. Invecchiamo, ci carichiamo di nuove responsabilità, ma nello stesso tempo ci prepariamo alle novità e ai cambiamenti, ricostruendo (anche se con fatica), la nostra fiducia in un futuro comune. Del Natale dobbiamo andare fieri perché accanto al bambino in culla, festeggiamo l’albero della libertà, che porta nelle radici il ricordo delle conquiste fatte: la separazione di Stato e Chiesa, il riconoscimento dei diritti umani, il rifiuto della schiavitù, la codificazione del concetto di uguaglianza fra i sessi.