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 2015  novembre 30 Lunedì calendario

Quei 40 miliardi che l’Italia butta ogni anno per via delle carenze infrastrutturali del Paese

L’Italia butta via oltre 40 miliardi l’anno, più di una finanziaria, per i colli di bottiglia causati dalle carenze infrastrutturali del Paese. Oltre 640 miliardi da qui al 2030, il 2,1% del Pil nei prossimi 15 anni, è il costo della mancata realizzazione dei progetti strategici per le telecomunicazioni e la logistica, l’energia e l’ambiente, la viabilità e le ferrovie.
Banca dati
Ma questo potrebbe essere un anno di svolta, secondo Andrea Gilardoni, professore della Bocconi e presidente dell’Osservatorio sui Costi del Non Fare di Agici, che calcola da una decina d’anni le ricadute del gap infrastrutturale sull’economia del Paese. Gilardoni è ottimista, malgrado i costi orrendi che presenterà domani a Milano e che il Corriere Economia ha potuto consultare. «Per la prima volta negli ultimi 15 anni si percepisce un cambio di passo ai piani alti del ministero delle Infrastrutture», commenta. Oltre al passo, sono cambiate anche le facce. Dopo l’uscita di Ettore Incalza, finito agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sulle grandi opere, è stato chiamato il professore napoletano Ennio Cascetta a coordinare l’indirizzo strategico e lo sviluppo delle infrastrutture. Le conseguenze si vedono. Le priorità del ministero guidato dal Graziano Delrio si sono ristrette da oltre 400 a una trentina, spiega Gilardoni. Un buon inizio per realizzarle davvero, queste priorità sempre rimaste sulla carta. «Il processo di rifocalizzazione e razionalizzazione delle priorità infrastrutturali in corso traspare anche dai diversi piani di sviluppo pubblicati, su porti e logistica, banda ultralarga, rifiuti», precisa Stefano Clerici, direttore scientifico dell’osservatorio.
Nella riforma del codice degli appalti, ormai alle ultime battute prima della presentazione in consiglio dei ministri, si parla finalmente di analisi costi-benefici, un sistema razionale per l’analisi dei progetti già indicato come prioritario da una legge mai applicata. Tutti questi segnali, insieme alle prospettive di allentamento del Patto di Stabilità, che dovrebbe consentire delle eccezioni ai Comuni virtuosi per poter usare i soldi che hanno in cassa, fanno pensare a una possibile accelerazione dei progetti più urgenti.
Digitale in testa
«Priorità assoluta», per lo studio, resta come negli anni scorsi la realizzazione di un rete completa a banda ultralarga, per connettere tutta la popolazione italiana con Internet ad alta velocità. I costi della mancanza di questa infrastruttura sono altissimi: 389 miliardi da qui al 2030, contro i 152 miliardi per i buchi nei trasporti e nella logistica e i 99 miliardi per le carenze nell’energia e nell’ambiente. «La banda ultralarga non è un’infrastruttura come le altre, perché ha delle ricadute trasversali su tutti i settori, dalla produttività dell’industria alla mobilità sostenibile», rileva Clerici. Ma anche sulle prospettive di realizzazione di questa infrastruttura strategica, che cambierebbe completamente il futuro sviluppo del Paese, Gilardoni è moderatamente ottimista: «La comparsa sulla scena di Enel, che parla di una spesa di 6-7 miliardi per allacciare tutti, anziché di 20, cambia completamente la situazione», sostiene. Mentre aspettiamo, però, si aggravano i limiti del sistema. «Il blocco del cantiere della Metro C di Roma, la crisi idrica a Messina, i dissesti idrogeologici in Liguria, in Campania e in Calabria e il crollo dei ponti in Sicilia sono alcuni esempi dei danni causati dalla paralisi», ricorda Clerici.
Ritardi
L’85% delle opere prioritarie è in ritardo, con tempi e costi in media più che raddoppiati. Opposizioni locali e richieste di compensazioni esorbitanti funestano quasi tutti i cantieri. «In particolare per le opere più grandi, quelle superiori al miliardo, tempi e costi sono spesso fuori controllo», fa notare Gilardoni. All’origine dei ritardi ci sono problemi di copertura finanziaria: si parte con i soldi per i primi 3 kilometri e poi ci si ferma, perché mancano quelli per gli altri 60. «Per evitare i ritardi e per usare al meglio le risorse finanziarie, ci vogliono linee-guida chiare per progettare con qualità, analizzando in anticipo i principali fattori di rischio, ma soprattutto c’è bisogno di sviluppare un rating sociale, che possa incidere sugli orientamenti della pubblica amministrazione e sulle scelte di molti investitori, sempre più interessati al ritorno sociale e ambientale dei progetti», ammonisce Gilardoni. I limiti della progettualità nazionale sono tali, che spesso mancano iniziative di qualità per intercettare i fondi disponibili. Un limite particolarmente grave di fronte alle possibilità aperte dal Piano Juncker. Agici propone di lanciare un’iniziativa per identificare 100 progetti per il futuro del Paese, finanziata da un fondo da 50 milioni di euro, che può arrivare a 150 milioni con i cofinanziamenti privati. Per inventare oggi l’Italia di domani.