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 2015  novembre 29 Domenica calendario

«Avrei voluto un figlio per dirgli di non credere a tutto quello che raccontano di me». Memorie di Loredana Bertè

Loredana Bertè torna con un nuovo singolo scritto da Luciano Ligabue Amici non ne ho... ma amiche sì, titolo anche del disco in uscita a gennaio. Intanto, ha da poco pubblicato la straordinaria autobiografia scritta con Malcom Pagani: Traslocando (Rizzoli), dove racconta la sua vita, che no, non spiega come si diventa Loredana Bertè, come nessuno può spiegare come si diventa Marilyn Monroe, Janis Joplin, Jimi Hendrix. Nascita, arte e vita che coincidono, destino forse, o forse no, nemmeno l’infanzia buia che accomuna molti di questi miti pop. «La nostra infanzia è fatta di tutte stelle mancanti» dice Loredana, riferendosi a se stessa e a Mimì, la sorella.
Mai un regalo?
«Il padre e la madre erano due statali, prendevano lo stipendio il 27, noi siamo nate il 20».
Come festeggiavate i compleanni?
«Non li festeggiavamo. Verso i dieci anni con un pasticcino e una candelina. Io e Mimì da sole. Oppure con Clito».
Clito?
«Il cane che il padre comunista aveva addestrato ad addentare le tonache. Appena vedeva un prete o una suora quello partiva e azzannava il polpaccio».
Aveva ragione il padre?
«Per me non ha ragione nessuno. Non ho mai creduto in niente, non mi bevo una parola della Bibbia. Non so se in alto c’è qualcuno».
Perché nel libro i suoi genitori vengono chiamati la madre e il padre, mai mamma e papà?
«Io e Mimì ci guardavamo e dicevamo: che c’entriamo noi con questi? Non c’entravamo davvero niente. Tante volte sognavamo: che bello sarebbe essere orfane. Il padre era il peggiore, violento, una bestia feroce. Io sono sopravvissuta per caso».
E la madre?
«La madre era una ragazza bellissima che si è sposata troppo presto, a quindici anni, non sapeva niente della vita. Si è ritrovata un uomo che la menava, ha avuto quattro figlie, e quando è riuscita a liberarsi del marito non ha capito più niente».
Per esempio?
«Dopo i primi successi, con i soldi guadagnati, Io e Mimì ci siamo comprate un terreno, via Flaminia, chilometro ventitré, lì abbiamo costruito la villa dei nostri sogni. Cucina, salotto, cinque camere da letto, dove abbiamo messo anche la madre e una sorella. I mobili li avevo disegnati io: azzurro psichedelico».
Il tentativo di ricostruire una famiglia?
«In realtà era già tutto perduto».
E voi non l’avevate capito?
«Stavamo lì, insieme, i cani, avevamo nove cani. Il dubbio ci doveva venire con la piscina. La madre ci chiedeva i soldi per costruire la piscina, ogni volta che una di noi partiva: “Mi lasceresti un assegno per la piscina?”. Noi glieli davamo, ma nessuno è mai arrivato a scavare la buca».
Che faceva la madre con i soldi?
«Ritocchi estetici e borse, aveva l’ossessione delle borse firmate. Per le borse si è venduta anche le pellicce mie e di Mimì. Due pellicce spelacchiate per la verità. Ma il peggio è venuto dopo».
Cioè?
«Io vado in America per un periodo. Quando torno rientro, direttamente a Riano, alla villa: i nostri nove cani in giardino, le Cinquecento, quella mia e quella di Mimì, ogni cosa come l’avevo lasciata, solo che c’era un cameriere nero in livrea che annaffiava i fiori».
Chi era?
«Gli dico: questa è casa mia. E lui: ancora? È la terza sorella che viene, lo volete capire che questa è l’Ambasciata del Venezuela? La signora ha venduto tutto».
La signora era sua madre?
«La madre si era venduta la casa con le nostre cose dentro, pure i cani».
Come è riuscita a venderla?
«Ma scusa: se nella vita riesci a costruirti una casa, la prima casa, a chi la intesti?».
Le manca una famiglia?
«Se non hai avuto una famiglia, non ti manca. Mi manca mia sorella. Eravamo noi la nostra famiglia».
I regali che non ha avuto nell’infanzia se li è fatti dopo da sola?
«Tutto quello che non mi hanno regalato il padre e la madre, anche i giocattoli».
Come l’orsacchiotto con cui andò alla Casa Bianca?
«Era una borsa, l’avevo presa a Ibiza quando ancora non ci andavano i dentisti».
Il presidente gradì?
«Al tempo in Parlamento c’era Cicciolina con l’orsacchiotto. Alla Casa Bianca mi si avvicina Bush padre e dice: “Sto dalla tua parte”, mentre la sicurezza mi seguiva a ogni passo. Io non capivo».
Poi ha capito?
«Pensavano mi volessi spogliare come Cicciolina, credevano che in Italia ci fosse una specie di partito di donne che di colpo si spogliano con ’sto cavolo di orso di peluche».
Alla Casa Bianca lei andò con Björn Borg?
«Bush padre aveva regalato a Bush figlio una partita con Borg. Poi iniziò a piovere. Uomini della Cia e dell’Fbi asciugavano con il phon il campo da tennis».
Riuscirono ad asciugarlo?
«Gli americani pensano che tutto sia possibile. Non lo è».
Come si è comportata alla Casa Bianca?
«Giravo per le stanze, lo Studio Ovale, mi sono distesa sul mappamondo gigante. C’erano i Bin Laden, padre e figlio, amici di famiglia, avevano affari petroliferi con i Bush».
Björn Borg apprezzava la sua eccentricità?
«All’inizio sembrava di sì, ma all’inizio ogni cosa sembrava diversa. L’ho sposato perché si era presentato in un modo: I love you, honey, poi è diventato un altro».
È stato un grande amore?
«Ci sposò Pillitteri. Io in rosa, Borg in azzurro».
Una favola?
«Niente di più lontano. Con Borg ho perso sentimenti e conti in banca. Pagavo sempre io, i miliardari non hanno mai soldi in tasca. Anche oggi, se ci ripenso, non lo so se è stato amore vero, sono stata trascinata dall’idea che potesse essere per sempre, e io non avevo mai avuto niente per sempre».
Rimpianti?
«L’ho lasciato troppo tardi, nel 1992, dovevo farlo prima».
La vita dopo Borg?
«Torno in Italia, a Milano. Daniela Zuccoli, la moglie di Mike Bongiorno, mi affitta casa sua. Fa schifo, gliela ristrutturo completamente, faccio la cucina all’ingresso, entravi in casa e c’era il frigo».
È stata felice in quella casa?
«Ricordo la festa di inaugurazione. Venne anche Craxi che lasciò la pistola nel forno».
Perché nel forno?
«Era un Frost, mai capito come funzionasse, lo usavo come cassetto».
Inizia un periodo di pace?
«Macché. Un giorno Daniela Zuccoli vede la casa e dice: voglio trasformarla nel mio showroom. E grazie! Gliel’avevo messa benissimo. Siamo finite in Tribunale con gli avvocati che ci dividevano nei corridoi».
Chi ha vinto?
«Ha perso lei».
Finalmente la serenità?
«Siccome nel condominio stavano sempre a ristrutturare, primo piano, secondo piano, terzo piano, e a me scoppiava la testa, un giorno esco fuori con una mazza da baseball e spacco la portineria. Chiamano la polizia, ma io riesco a fuggire».
Dove va?
«All’albergo di fronte. Rimango quattro giorni all’hotel Ariosto. Dalla finestra guardavo se c’erano ancora i poliziotti. Il giorno che se ne vanno, torno. Quelli arrivano subito, quattro volanti, sfondano la porta, m’immobilizzano, mi prendono come Brusca. Mi legano. C’era la Croce Rossa, questa gente con le tute fosforescenti. Mi portano in manicomio».
Si è spaventata?
«A casa non avevo l’acqua da giorni, in manicomio c’era. Ho pensato: che culo. E mi sono fatta una doccia».
Quanto è rimasta là dentro?
«Da fuori è venuta Aida, la mia corista, a portarmi lo stereo Sony. Abbiamo fatto uno showcase. Le pazienti cantavano con noi Sei bellissima. Il giorno dopo arriva un infermiere del reparto maschile: di là stanno impazzendo, non è che puoi cantare anche per loro?».
E ha cantato anche per gli uomini?
«Sì. Poi la dottoressa mi ha detto: lei non è matta per niente, meglio che se ne torna a casa sua».
Loredana Bertè non è matta?
«Non lo so. Che poi tra quelli dentro e quelli fuori non c’è tanta differenza».
Si è rialzata da tutto?
«No. La morte di Mimì è come se fosse successa ieri».
Non passa?
«Risuccede ogni giorno. Vedo alla televisione Mara Venier che piange, poi la foto di Mimì. Mi chiama Renato: spegni la televisione, sto arrivando. Andiamo all’obitorio. Appena entro vedo la bara con Mimì dentro. Mimì è piena di lividi. Allora capisco. L’hai ammazzata, grido al padre. Lui mi si avventa contro, botte, calci, mi strappa i capelli. E io cado nella bara, sopra a mia sorella».
Il padre è ancora vivo?
«Purtroppo. Aspetto che muoia per riprendermi le ceneri di Mimì. Ho saputo che l’aveva cremata dalla televisione».
Perché vuole le ceneri?
«Per spargerle a Bagnara Calabra».
Lei spesso parla al plurale.
«Io e Mimì».
Se ci fosse ancora Mimì?
«Vorrei che fosse fiera di me. Di questo nuovo disco».
Prodotto da Fiorella Mannoia...
«Nella vita mai pensavo di poter duettare con Fiorella Mannoia e Patty Pravo».
S cusi, ma lei è Loredana Bertè, lo sa?
«E chi é?».
Come è nata la collaborazione con la Mannoia?
«Devo ringraziare Renato Zero. Se non avesse tirato una sòla sia a me che a lei, non ci saremmo mai incontrate».
Da quanto tempo non parla con Zero?
«Sei anni».
Motivo?
«Mi ha prodotto un disco, ma come voleva lui, ci ha messo pure i cori delle suore, gli ho detto: questo è un disco per suor Cristina, tienitelo».
Non pensa che potreste far pace?
«Io ho perso due persone: Mimì e Renato».
Lui l’ha più cercata?
«Io non ho telefonino, ho solo il fisso, un Sirio, mai cambiato, mi sono letta trecento pagine di istruzioni, non posso leggermene altre. Chi vuole mi chiama lì, zero due, e mi lascia un messaggio in segreteria».
Messaggi di Renato Zero?
«Nessuno».
Il futuro per Loredana Bertè?
«Equitalia. Mi hanno pignorato tutto».
Le mancano dei figli?
«Avrei voluto un figlio per dirgli: non credere a quello che ti dicono gli altri di tua madre, ora te la racconto io la storia vera».