Il Sole 24 Ore, 30 novembre 2015
Yen, sterlina e dollaro neozelandese. Tutte le valute da considerare
Trovare riparo in una valuta forte è una delle scelte possibili per chi vuole ridurre i rischi in una fase di azioni terroristiche e di tensioni militari. Ma quale può essere una valuta forte? Il rapporto euro-yen, così come altri rapporti valutari (vedi in pagina e a fianco), permette di scegliere opzioni complementari alla valuta europea. Ma volendo aggiungere prodotti denominati nella moneta giapponese bisogna scegliere il momento giusto, visto che di solito si parte da flussi europei denominati in euro.
«Gli effetti del terrorismo e le tensioni internazionali dopo gli attentati di Parigi e l’escalation degli interventi in Siria – sostiene Serge Escudé, ricerca e investimenti di Cassa Lombarda – potrebbero contribuire nel breve a rinforzare lo yen verso l’euro in quanto tradizionalmente la divisa giapponese è vissuta come un porto sicuro nei momenti difficili sui mercati finanziari. Questo trend – aggiunge – potrebbe essere accentuato nel breve dalle mosse espansive che la Bce probabilmente adotterà il 3 dicembre». Tuttavia questa tendenza all’apprezzamento potrebbe essere contrastata nei mesi successivi dai possibili futuri interventi della Banca Centrale giapponese e del governo. «Infatti gli economisti si aspettano – continua Escudé – già a gennaio un nuovo stimolo fiscale di 3 trilioni di yen (24,5 miliardi di dollari) da parte del governo di Abe ma anche una successiva manovra espansiva della Banca del Giappone se lo stimolo fiscale non bastasse a far riprendere l’economia e l’inflazione del paese». Quasi una gara fra quantitative easing.
Non è un contesto facile per chi volesse diversificare sulla moneta del Sol Levate, in un momento in cui le valute entrano in fibrillazione. «A breve termine – ricorda Asoka Wöhrmann, responsabile degli investimenti per Deutsche Bank Awm – la volatilità del dollaro Usa sarà probabilmente confermata, sia rispetto ai mercati emergenti che nei confronti delle valute di finanziamento come euro e yen. In una prospettiva di lungo periodo prevarranno tuttavia i fondamentali: la crescita statunitense continuerà a essere più rapida di quella europea o giapponese e i tassi di interesse Usa saranno più elevati. Entrambi questi fattori dovrebbero incoraggiare l’afflusso di capitali. La storia suggerisce inoltre che il ciclo rialzista del dollaro Usa potrebbe durare ancora qualche anno». Fra i vantaggi di investimenti in prodotti vari (azioni, fondi e altro) denominati in yen c’è una certa marginalità rispetto alla tensione mediterranea.
«Il Giappone – ricorda Joe Corbach, esperto di valute di Gam – non sembra essere un obiettivo terroristico. Oggi lo yen sembra essere la valuta con minori rischi dato il rimpatrio di una quota importante di risparmi dei giapponesi. Il cambio euro/yen non è scambiato in maniera diretta, ma attraverso i cambi dollaro/yen ed euro/dollaro quindi come riflesso di tali fluttuazioni».
Il cambio dollaro/yen è stato abbastanza stabile. Ma, nelle ultime settimane, «la valuta giapponese è stata piuttosto debole a causa delle aspettative di un ulteriore ampliamento dello spread con gli Usa in vista dell’atteso rialzo dei tassi da parte della Fed a dicembre da un lato, e dell’incremento dello stimolo monetario da parte della BoJ dall’altro. Ciò significa che l’apprezzamento dello yen nei confronti dell’euro – conferma Corbach – ha rispecchiato l’apprezzamento del dollaro sull’euro e non ha nulla a che vedere con l’avversione al rischio o l’afflusso di capitali verso il Giappone considerato un porto sicuro». Leggere quindi l’opzione yen come area non interessata al conflitto, potenzialmente in crescita e scollegata da quanto avviene nelle altre grandi valute è probabilmente una forzatura. Si può forse prevedere una minor volatilità da “venti di guerra”, una sorta di distacco dagli eventi di drammatica attualità. Ma niente di più, il mondo delle grandi valute è strettamente collegato e quindi i movimenti sono legati alla forza del dollaro e all’eventuale ulteriore indebolimento dell’euro. Come conferma Matteo Paganini, chief analyst di Fxcm Italia: «Proprio perché il cambio euro/yen è frutto di una moltiplicazioni di cambi originali, bisogna guardare ai cambi euro/dollaro e dollaro/yen. Il rapporto fra la valuta europea e quella nipponica si muoverà a ribasso nel caso in cui uno dei due cambi principali (con l’altro stabile), o entrambi, si muovano a ribasso. Viceversa, se i due cambi originali si muovono a rialzo (o uno dei due lo fa mentre l’altro si mantiene stabile), il cross salirà. Le dinamiche relative all’economia americana in ripresa e quelle che descrivono l’andamento della congiuntura europea, oltre che quelle legate ad avversione o propensione al rischio sono dunque da monitorare».
La complessità di un movimento così intrecciato sembra escludere al risparmiatore retail una scelta in autonomia, per chi vuole diversificare le valute l’opzione è quella dei fondi, azionari ma anche obbligazionari, che investono su Tokyo in moneta locale. Cercando di intervenire in una fase di relativa ripresa della valuta europea per non dover pagare subito un costo iniziale.
Paola Zucca
Se il franco svizzero non seduce più
C’era una volta il franco svizzero. Un tempo tra i beni rifugio per eccellenza la moneta elvetica negli ultimi anni ha perso il suo status. L’ennesima conferma è arrivata nelle ultime settimane quando, a fronte di tensioni geopolitiche crescenti, il franco non ha subito significativi apprezzamenti nei confronti dell’euro. Anzi, dopo gli attentati di Parigi la moneta unica ha guadagnato circa l’1%. Venerdì indiscrezioni su un possibile intervento della banca centrale svizzera per indebolire il cambio favorendo l’economia hanno spinto ulteriormente al ribasso il franco.
«Nell’ultimo anno sono saltate molte delle correlazione a cui eravamo abituati» spiega Andrea Cuturi, vice presidente di Anthilia sgr. «L’oro non funziona più come bene rifugio, i bund hanno quotazioni troppo tirate per esserlo e neppure il franco svizzero svolge più questa funzione. I mercati – continua Cuturi – guardano ormai ad una sola cosa ossia alle mosse delle banche centrali». Le politiche ultraespansive rendono tutto ovattato, compresa la percezione del rischio.
In passato la banca nazionale svizzera ha speso molto per mantenere il cambio artificialmente basso salvo poi gettare la spugna il 15 gennaio 2015 causando un apprezzamento del franco del 18% nel giro di pochi minuti. Per effetto di queste politiche la banca centrale elvetica presenta asset in bilancio per un controvalore di oltre 600 miliardi di franchi quasi il 100% del Pil svizzero (a fronte di rapporti intorno al 30% di Banca centrale europea, Federal Reserve o Bank of England). «Investire sul franco svizzero vuol dire esporsi ai rischi delle mosse di una banca centrale che è di fatto diventato il più grande hedge fund valutario al mondo – sottolinea Cuturi – e in questo momento non vedo motivi per fare una scelta di questo tipo». La moneta svizzera potrebbe ritrovare il suo appeal, conclude Cuturi, soltanto a fronte di scenari davvero catastrofici come ad esempio la prospettiva di una rottura dell’euro.
Mauro Del Corno
Investire nella sterlina ma non solo per paura
È un buon momento «per investire nella sterlina contro l’euro, anche in un’ottica di diversificazione del portafoglio». A dirlo è Paul Lambert, gestore di Insight (BNY Mellon) specializzato in valute. E, più del terrore che si spande sull’Europa, è la divergenza tra le politiche monetarie il tema chiave che influenzerà l’andamento della sterlina, oltre che del dollaro, nel medio termine.
«Le date cruciali – prosegue Lambert – sono il 3 dicembre, quando ci sarà il meeting della Bce, e il 17 dicembre, quando la Fed annuncerà la propria decisione sui tassi d’interesse negli Stati Uniti. Ci aspettiamo che la Bce potenzi il programma di acquisto di titoli e tagli ulteriormente il tasso di deposito, e che la Fed proceda con la stretta monetaria aumentando il tasso obiettivo per la prima volta negli ultimi nove anni. In seguito a queste misure, la sterlina si rafforzerà ancora. È molto probabile che la Bank of England mantenga un atteggiamento attendista nel corso del 2016, ma i rialzi dei tassi in Gran Bretagna avverranno comunque con largo anticipo rispetto alla stretta monetaria della Bce, e prima di quanto i mercati si aspettino». Così, nell’ambito di una strategia che per massimizzare i rendimenti potenziali privilegi l’investimento sul dollaro contro l’euro, aprire una posizione in sterline può essere una mossa intelligente.
«Gestire attivamente le valute aiuta a diversificare il portafoglio in uno scenario in cui le posizioni sul biglietto verde sono particolarmente affollate – conclude Lambert – Ci saranno occasioni in cui la sterlina offrirà opportunità tattiche più attraenti – ad esempio, nel caso di probabili inversioni di breve periodo nelle tendenze valutarie. Investire nella moneta britannica potrebbe costituire, in questi casi, un modo più sicuro per guadagnare dalla debolezza dell’euro rispetto a un portafoglio eccessivamente esposto
al dollaro».
Laura Magna
Ancora sopravvalutato il dollaro neozelandese
Il dollaro neozelandese è sopravvalutato. Dopo un periodo in vantaggio sia nei confronti del dollaro Usa sia di quello australiano, gli operatori ritengono che il ciclo stia terminando. «Potrebbe restare ancora forte nel breve termine» commenta BNZ «ma gli attuali livelli del dollaro neozleandese indicano buone opportunità di vendita nel medio periodo». Anche Mazen Issa, Fx strategist di TD, tra i più importanti provider globali di servizi finanziari, ritiene che il rimbalzo sia andato troppo in là.
A ottobre la valuta kiwi era la moneta con la migliore performance tra le dieci più scambiate al mondo, soprattutto grazie al buon andamento dell’agricoltura e in particolare dei prezzi del latte, la maggiore fonte di esportazione del Paese australe. Tuttavia, nelle ultime settimane gli alti livelli sono stati causati più dalla debolezza delle controparti che per effettivo valore. Per esempio, dopo aver perso terreno sul “cugino” australiano a causa di aspettative di un taglio dei tassi d’interesse a Canberra, a metà settimana la notizia di un calo degli investimenti business in Australia peggiore del previsto (-9,2% nel terzo trimestre) ha ridato fiato al dollaro kiwi, che si è riposizionato a quota 0,91. Richard Grace, head della currency strategy alla Commonwealth Bank of Australia commenta: «I guadagni del kiwi parlano più della debolezza del dollaro australiano che di un’effettiva forza».
A ciò si aggiungono notizie negative sul fronte interno. In particolare, a novembre i prezzi del latte sono calati del 7,9 per cento. «Il livello del dollaro kiwi è solo una fase correttiva in un più ampio trend al ribasso» conclude Issa.
In Nuova Zelanda si auspica una moneta più debole per sostenere le esportazioni a livello globale. A settembre la Reserve Bank neozelandese aveva affermato che un deprezzamento del dollaro kiwi sul greenback sarebbe stato appropriato. Allora il tasso di cambio era 0,63 centesimi di dollaro Usa, a metà della settimana scorsa era a 0,6595.
Barbara Pezzotti