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 2015  novembre 29 Domenica calendario

Ferrara, che tanto ispirò Giorgio De Chirico, dedica una mostra al pittore

Un tempo brevissimo, che però darà risultati profondi non soltanto per la pittura dell’autore e quella italiana, ma per quella di mezz’Europa: Giorgio De Chirico (1888 – 1978) è a Ferrara soltanto per tre anni, dal 1915 al ’18; ma la sua metafisica influenzerà parecchi autori successivi, da Magritte a Man Ray, da Dalì a Max Ernst; diverrà un idolo per i surrealisti. E lascerà alcuni autentici capolavori, riuniti per la prima volta a Ferrara, con dipinti coevi di sodali e di amici, nell’esposizione “De Chirico a Ferrara, metafisica e avanguardie” (a Palazzo dei Diamanti, fino al 28 febbraio; cat. Ferrara Arte), a cura di Paolo Baldacci e Gerd Roos; a dare misura della capacità imprenditoriale di Ferrara Arte, andrà poi alla Staatsgalerie di Stoccarda. E sono 70 opere, con alcune fondamentali del protagonista, che non si vedevano da decenni; e alcune da almeno mezzo secolo.
IL MANIERO
Scorrono davanti agli occhi Le muse inquietanti, con sullo sfondo il Castello Estense; Il grande metafisico, con la piazza Ariostea; Ettore e Andromaca e Il trovatore, e sono sempre manichini; si apprezza quell’idea di De Chirico del “quadro nel quadro”, che altri svilupperanno in seguito con grande abbondanza, come il suo occhio ne L’angelo ebreo, o nel Saluto all’amico lontano; I progetti della fanciulla, del 1915, hanno già sullo sfondo il maniero ferrarese. Li accompagnano piccoli capolavori, di Carlo Carrà, che lavorò alcuni mesi con lui; di Filippo De Pisis, che nel soggiorno estense gli fu amico; della brevissima parentesi metafisica di Giorgio Morandi, così rara da vedersi; di grandi maestri successivi, tanto profondamente segnati dalle sua visioni.
I PRESTITI
«Radunare queste opere è stato complicatissimo, ma ci siano riusciti; di più, non si poteva fare», spiega Maria Luisa Pacelli. Molte, sono ormai nei maggiori musei del mondo, a cominciare dagli Usa; tre De Chirico, iniziando dalle Muse inquietanti, un Carrà e altri due quadri, sono dei residui della mitica collezione di Gianni Mattioli, già a Milano, via Senato: le 28 opere che furono vincolate, sono ora al Guggenheim di Venezia; le altre in Svizzera, e stavano con il Nu couché di Modigliani, recentemente venduto per 170 milioni di dollari. A spiegare la rilevanza dell’evento, l’ha voluto ammirare, in anteprima, il Capo dello Stato.
Le vicende che hanno originato questi dipinti hanno, anche loro, notevoli singolarità. Allo scoppio della prima guerra mondiale, i due fratelli, Giorgio e Alberto che diverrà poi Savinio, sono a Parigi. Per arruolarsi, tornano in Italia: fortunatamente, De Chirico è destinato alle retrovie: va a Ferrara. Alcuni mesi anche a Villa Seminario, che era luogo di ricovero per le sindromi belliche: quasi a riposarsi, e soltanto a dipingere. La metafisica gli era già sbocciata a Parigi; ma qui trova un vero coronamento. In Francia era malinconica e nostalgica; qui, lui realizza l’ultimo degli Enigmi sabaudi; e lascia perdere le deserte Piazze d’Italia e il monumento equestre torinese baciato da Nietzsche, nel primo accenno della sua follia.
DALLA FINESTRAInventa una nuova maniera del dipingere. Già nel 1919 Guillaume Apollinaire lo diceva «il più sbalorditivo pittore della nuova generazione». Dal suo ufficio di scritturale, una finestra inquadrava proprio il Castello Estense. Il ritratto di un commilitone; interni metafisici; i dolcetti ebraici dell’ex ghetto; De Chirico spiega a Carrà, con cui divide il tempo a Villa Seminario: «Siamo esploratori, pronti per nuove partenze». Quasi tutte riunite le loro opere, realizzate in quel luogo.
Qui si sposano la realtà e l’illusione. Grazie a “Valori plastici”, che diffondeva queste opere nel mondo, il mix arriverà fino a Grosz e tanti altri; lo riecheggia perfino Sironi, nella Venere dei porti, solo di un anno successiva. Perché, nel 1921 in Germania, a De Chirico, Carrà e Morandi si dedica una mostra itinerante; in Francia quest’arte avrà tra gli adepti perfino Le Corbusier.
LA SVOLTA
Con il Futurismo, la Metafisica italiana di quegli anni è stato l’unico stile ad aver valicato le Alpi: prodotto originale, davvero doc. A Ferrara, il nostro scopre «la grande pazzia, che esisterà sempre e continuerà a gesticolare e a far dei segni dietro il paravento inesorabile della materia». La cinquantina di quadri ferraresi di De Chirico sono diversi dai suoi prima; Savinio lascia la musica, e diventa scrittore e saggista; e qui sboccia anche Carrà. La svolta ferrarese dell’autore lo segna profondamente; e con lui segna pure l’arte europea. Un periodo fondamentale, da non perdere; e grazie a Ferrara, per avercelo regalato.