Il Messaggero, 30 novembre 2015
Come Terry Gilliam diventò un Monty Python. Una biografia pre-postuma
«Questo non è il libro che io e mia figlia avevamo in mente». Come capita con Terry Gilliam, l’inizio è subito una contraddizione. Il regista di Brazil e Le avventure del Barone di Munchausen voleva creare un lussuoso libro illustrato ricco di fantasmagorie originali uscite dalla penna visionaria dell’ex Monty Python. Un libro per «i salotti dei Cultori delle Belle Arti». Poi il settantacinquenne Gilliam ha cominciato a ricordare e non si è più fermato. Ne è venuto fuori un capolavoro di aneddoti e autoironia dal titolo Gilliamsque – Un’autobiografia pre-postuma, edita per noi dai tipi di Big Sur. Le memorie di un geniale artista mischiate a foto private mai viste prima, disegni, ricordi e riflessioni. Non un libro lussuoso ma un lusso da soli 30 euro attraverso cui entrare nella testa e nella scrittura di un sacro pazzo del ’900.
La madre vergine
«Mio padre era falegname e mia madre vergine. Che altra scelta avevo se non quella di essere il prescelto?». Gilliam gioca con il suo ego ipertrofico e disegna subito un’infanzia potente e bellissima in Minnesota dove il padre non c’è mai e la madre educa tre figli in completa solitudine («Su quel modello domestico avrei costruito la mia famiglia tanto che mia moglie Maggie sostiene di aver cresciuto i nostri tre figli come ragazza madre»). La parte migliore del libro è tutto il periodo pre-Monty Python, quello per noi più oscuro. Il piccolo Gilliam era spensierato («È per questo che mi sono dovuto mettere a fare film: per procurarmi quelle profonde ferite emotive e spirituali che la mia infanzia mi aveva negato con tanta crudeltà») in quella campagna dove anche i quaranta gradi sotto zero vengono vissuti come stimolante avventura. Poi arriva il trasferimento in California, la passione per le storie truci del Vecchio Testamento, gli scout tanto frequentati prima dell’abbandono (litiga con i vertici dell’organizzazione), i cartoon di Walt Disney, l’arte del fumetto («Ho imparato a disegnare imitando non Rembrandt ma Jack Davis»), la Birmingham High School (dove si specializza come cheerleader durante le partite di football), l’Occidental College (lo stesso di Barak Obama) delle prime consapevolezze politiche e primordiali prove editoriali con la rivista umoristica Fang! costruita sul modello della celebre Mad del guru Harvey Kurtzman. Dove si trova Gilliam il 28 agosto 1963? Al comizio di Martin Luther King dove c’era anche il conterraneo del Minnesota Bob Dylan e dove si sarebbe ascoltato il famoso: «I Have a Dream». Ma il buon Terry è lontano, distante, come nella celeberrima scena di Brian di Nazareth dei Monty Python in cui nessuno riesce a sentire bene cosa dica Gesù Cristo riguardo le Beatitudini. A quel comizio entrato nella Storia del ’900 Gilliam faceva delle foto per la rivista Help! visto che era arrivato a New York lavorando per l’adorato editore umoristico Kurtzman.
È il momento del viaggio, della fuga dal servizio militare (la parte degli escamotage per evitare il Vietnam è esilarante), dei capelli lunghi (fino a metà ’60 li aveva portati a spazzola modello militare), dell’autostop in Europa (La Mancha di Don Chisciotte comincia a stregarlo) con puntate in Nordafrica, Grecia e Turchia («Trovo toccante l’usanza islamica di inserire un piccolo difetto nel tappeto fatto a mano perché la perfezione appartiene solo a Dio. Ho cercato di tener fede a quel principio nel mio lavoro»). Il nostro vive i ’60 «relativamente lucido», non esagera con le droghe ma rompe un rapporto tutto sommato pacifico con gli Usa quando viene aggredito dalla polizia a una manifestazione a Century City nel 1967 («L’ipocrisia e la pura e semplice stupidità della guerra del Vietnam mi stavano facendo impazzire»). La seconda parte del libro è la più nota e meno eccitante: l’arrivo a Londra («La Swinging London era il paradiso terrestre»), i primi lavori dentro la BBC e, casualmente, la possibilità di lavorare come animatore per un programma comico che l’avrebbe reso una celebrità: Monty Python’s Flying Circus.
Lo yankee
Leggere come Gilliam ricorda la vita all’interno dei Monty Python è sempre interessante: l’unico americano, la ricerca dello stile che li avrebbe resi unici, il leggero complesso di inferiorità per gli altri cinque laureti a Oxford e Cambridge e il lavoro in solitudine alle sue avveniristiche animazioni in cut-out. Appena arriva la possibilità di diventare un regista solista, Gilliam la sfrutta. Il resto è la storia di quello che Federico Fellini considerava come uno dei colleghi a lui più vicini per sensibilità. Tanti capolavori, da Brazil a L’esercito delle 12 scimmie. Ma il segreto di questa straordinaria autobiografia pre-postuma sono le prime pagine di vita del “prescelto”, quando il Minnesota era la cornice selvaggia di una straordinaria immaginazione.