il Giornale, 30 novembre 2015
L’arte resta sempre un buon affare. Chi negli anni Novanta ha speso 5 milioni di lire per comprare una Zeta di Maurizio Cattelan, dopo meno di dieci anni l’ha rivenduta a 320mila euro
Negli anni ’80 Jeffrey Deitch, critico, ma anche advisor e consulente per diverse banche, disse che il successo dell’arte contemporanea si poteva interpretare alla stregua di uno shopping esclusivo: a differenza di una borsa di Hermes o di un Rolex l’opera garantisce all’acquirente non solo un diritto di unicità, ma anche la possibilità di accreditarsi in un ambiente molto sofisticato. Poiché l’arte di oggi è un linguaggio difficile, non per tutti, chi ha le chiavi d’accesso per entrare a far parte di questo mondo di fiere, mostre, cocktail, vernissage gode di un prestigio sociale che dà posizionamento, e dunque anche tale carattere determina il valore dell’opera e del suo creatore. Sempre più, infatti, l’arte ha bisogno dei suoi luoghi, dei suoi attori, delle sue regole. Chi si è comprato negli anni ’90 una Zeta di Maurizio Cattelan a 5 milioni di lire, ha potuto rivendere all’asta lo stesso pezzo meno di dieci anni dopo intorno ai 320mila euro: non c’è immobile che si rivaluti così tanto in un periodo così breve. Per contro il mercato segue flussi estetici, che banalmente possiamo chiamare moda: buona parte degli artisti che negli anni ’80 costavano parecchio oggi si trovano a poco prezzo (e chi li ha comprati si è visto notevolmente abbassare il patrimonio iniziale). Invece tutti oggi richiedono gli anni ’60 e ’70, per cui il valore di pittori come Castellani, Scheggi, Simeti, Bonalumi, per non dire della riscoperta dei cinetici quali Biasi o Nanda Vigo, si è addirittura decuplicato.
Il mercato dunque segue flussi e onde, indirizzati dai trend e dagli opinion maker. Difficile andare controcorrente, nonostante il proliferare di proposte da ogni parte del mondo si registra persino più conformismo nell’era globale del presente piuttosto che nel passato, quando molti collezionisti compravano guidati dal proprio gusto. La crisi, cominciata alla fine degli anni Zero e forse non del tutto terminata, ha avuto un effetto devastante sul mercato medio-basso che a lungo era stata la spina dorsale del mercato, soprattutto in Italia. Dopo il crollo dei prezzi si compra meno, facendo attenzione a non buttare via i soldi, si è ridotto l’effetto scommessa e il talent scouting, mentre si cercano valori assodati sui quali compiere speculazioni anche a breve raggio. Ecco perché alcune tendenze sembrano sfiorite, se non addirittura scomparse: il Novecento italiano, la pittura figurativa (a parte qualche rara eccezione). La Transavanguardia soffre, tranne i pezzi molto importanti, l’Arte povera continua la sua ascesa inarrestabile – non solo Boetti e Penone, anche figure meno centrali come Calzolari o Marisa Merz. È in atto un rastrellamento di tutto ciò che è stato prodotto nell’età dell’oro dell’arte italiana, da Mondino a Piacentino, da Uncini a Pinelli. Prossimo trend annunciato, quello della Poesia visiva, ancora acquistabile a prezzi interessanti. Grande spazio sta conquistando la creatività al femminile, con outsider quali Carolrama e Irma Blank. Molto più difficile il recupero dell’astrazione e dell’informale, anche se c’è chi non esclude che prima o poi si vedrà un ritorno alle origini, almeno sulle proposte di maggior qualità. Il mercato dell’arte oggi, in generale, si concentra molto sulla sostanza e assai poco sulla provocazione e sulla boutade. I prezzi di fenomeni come Damien Hirst sono in netta discesa, Maurizio Cattelan (per scelta sua) è quasi sparito dalle contrattazioni. Il passato insomma attira più del presente. Chi cerca il lusso insegue anche le idee, al punto di scivolare su una visione forse conservatrice ma ben strutturata. E poi ci sono gli assegni circolari, quelli che comunque vada non sbagli mai. Due nomi su tutti: Fontana e Andy Warhol.