La Stampa, 30 novembre 2015
Burocrazia vs banda larga. Per 10 chilometri di fibra ottica posata occorrono 23 permessi
La banda ultralarga in Italia cammina all’esasperante lentezza di 23 permessi ogni 10 chilometri di fibra ottica posata. Vale a dire un’autorizzazione ogni 432 metri di cavo. Sì perché, nonostante il piano che prevede fondi strutturali (2,1 miliardi), finanziamenti del governo (circa cinque), investimenti privati (altri cinque), c’è da fare i conti con la burocrazia, che mette i bastoni tra le ruote ai lavori. Il che aiuta a spiegare come mai l’Italia sia al 25esimo posto nell’Europa a 28 dell’indice I-Com sulla banda larga, avanti solo a Bulgaria, Grecia e Romania.
La missione impossibile
A questo ritmo – anche ammesso che gli operatori accelerino – è impossibile rispettare gli impegni di Europa 2020, ovvero la copertura con collegamenti maggiori ai 30 megabit per tutta la popolazione e superiori ai 100 per almeno la metà dei cittadini. Una fotografia poco lusinghiera, che riserva molte sorprese: tra le regioni più virtuose – grazie al piano Euro Sud e ai bandi Infratel – per una volta troviamo il Mezzogiorno, con Calabria e Campania che negli ultimi mesi sono cresciute in modo significativo. Al contrario, languono sia il Nordest, con Veneto, Friuli e Trentino, sia il Nord Ovest con Piemonte e Val d’Aosta. In tutte queste regioni il numero di case raggiunte dal servizio è inferiore alla media nazionale.
Procedure complesse
La tecnica utilizzata per la posa di questi cavi si chiama minitrincea. L’impatto sulla strada è contenuto: un buco del diametro di una decina di centimetri, profondo circa 40. Nel giro di qualche ora si scava, si posano le canalette con la fibra e si chiude tutto, ripristinando il manto danneggiato. Un sistema molto diverso dai lavori tradizionali. Per questo motivo due anni fa, con il cosiddetto regolamento scavi, si è semplificata radicalmente la procedura. Ma, poiché non ci sono sanzioni, i comuni non applicano il regolamento e domandano agli operatori la stessa documentazione necessaria per la posa dei tubi di gas e fognature. Sommate Anas, vari uffici comunali, Arpa, Asl, enti provinciali, privati, e arrivate a 23 permessi. Con un’aggravante. Per tutelarsi da possibili danni, le amministrazioni chiedono agli operatori fidejussioni che possono arrivare fino a 4 milioni di euro per 10 chilometri. Garanzie che – una volta svolti i lavori – non vengono sbloccate, trasformandosi così in pesanti fardelli finanziari.
La situazione è a macchia di leopardo. Nella stessa regione, la Puglia, ci sono comuni come Parabita, in provincia di Lecce, che hanno concesso subito le autorizzazioni e hanno messo a disposizione degli operatori le tubature già esistenti per la posa. Altri, come San Severo, in provincia di Foggia, dove l’iter burocratico è stato sfiancante. Lo stesso si può dire per le regioni. In Calabria in due mesi è stato stilato un accordo di programma, e i lavori in nove mesi sono stati completati. In Puglia, invece, sei mesi di discussioni non sono stati nemmeno sufficienti per arrivare a un’intesa. Tutto ciò si traduce in costi – alla fine i ritardi possono pesare sui lavori per il 50 per cento del valore totale dell’opera – e nell’impossibilità per imprese e famiglie di disporre di un servizio essenziale. Oggi la Calabria, secondo le stime I-Com, è la regione italiana più cablata, con il 64% delle case e quasi la metà dei comuni raggiunto dalla banda ultralarga. Al contrario la Puglia è al 26% delle abitazioni e al 4,7 dei comuni. Gli obiettivi 2020 restano lontani.
«Bisogno di semplicità»
«Abbiamo un gran bisogno di semplicità», spiega Dina Ravera, presidente di Asstel, l’associazione di categoria di Confindustria che rappresenta gli operatori. «Significa da una parte favorire con una serie di semplificazioni normative le opere d’infrastrutturazione, dall’altra far sapere a cittadini e imprese quali vantaggi e benefici potranno trarre dalle nuove reti. Occorre fugare il rischio che la burocratizzazione soffochi lo sviluppo, e introdurre nel sistema strumenti facili e convincenti per accelerare e incoraggiare la “conversione al digitale” di cittadini e imprese».