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 2015  novembre 30 Lunedì calendario

Litigiosi e irrilevanti, gli ambientalisti italiani marciano a Roma

Frammentati, litigiosi, irrilevanti. Ecco l’album di famiglia degli ambientalisti italiani mentre il mondo guarda al vertice di Parigi. Alla marcia di ieri a Roma in prima fila la presidente Boldrini, il sindacalista Barbagallo, quelli di Pd e Sinistra Italiana, chi-si-rivede Pecoraro Scanio. In tutto ventimila persone, secondo stime generose. Nel maggio scorso, a Lanciano, al corteo promosso dal «Comitato No Ombrina» contro le ricerche petrolifere in Adriatico, erano tre volte tanto. Senza partiti e parlamentari. Il catalogo è questo: crisi strutturale a livello partitico e associativo, vitalità molecolare testimoniata dalla proliferazione di comitati di base. In giro per l’Italia se ne contano migliaia. Denunciano la crisi delle organizzazioni tradizionali, ma non possono né vogliono sostituirsi.
Sono passati trent’anni da quando i Verdi presentarono le prime liste con il bellissimo simbolo del sole che ride donato da Marco Pannella. Alle Europee del 1989 oltre 2 milioni di voti (6,2%); alle Europee del 2014 appena 250 mila, lo 0,9%. I Verdi non eleggono parlamentari dal 2006, quando Pecoraro Scanio diventò anche ministro dell’Ambiente. L’ennesimo flop alle Regionali 2015 (1,1% in Campania; 1% in Veneto con Sel; 0,4% in Puglia nonostante l’effetto Ilva) li ha indotti, nel congresso di Chianciano Terme due settimane fa, a eleggere come portavoce-testimonial l’attore comico Giobbe Covatta, confidando in una qualche visibilità mediatica.
Non che la corrente «ecodem», gli ambientalisti del Pd, se la passi meglio. Gode di una discreta pattuglia di parlamentari (guidati da Ermete Realacci, renzianissimo ex presidente di Legambiente), ma con scarso peso politico. L’ultimo appuntamento segnalato sul sito ufficiale risale a luglio; del prossimo non c’è traccia. Rappresentano l’ambientalismo riformista contro quello i «professionisti del no». Secondo i detrattori, l’ambientalismo «di sistema».
Della crisi dei Verdi e della sinistra ambientalista ha beneficiato il Movimento 5 Stelle, in cui sono confluiti migliaia di militanti dei comitati civici nati su vertenze territoriali. Ma negli ultimi tempi il M5S ha ridotto il piglio ambientalista.
Anche il panorama associativo è depresso. Le sigle storiche si sono burocratizzate e «romanizzate», vivono il disagio di tutti i corpi intermedi. Il Wwf è alle prese con una pesante ristrutturazione tra crisi di iscrizioni (in un decennio da quasi 300 mila a meno di 100 mila) e tagli di personale. Il Fai si occupa prevalentemente di gestione e recupero di ville e palazzi storici. Italia Nostra langue nelle divisioni interne, paga una crisi generazionale, comunica male. Alcuni tra i dirigenti più autorevoli paventano una scissione. Legambiente resta la più forte, ma paga la contiguità culturale col Pd.
Nel tempo della disintermediazione, bisogna guardare altrove. Il Forum dell’acqua, stravinto il referendum del 2011, s’è afflosciato. Neanche il Forum Salviamo il Paesaggio, nato quattro anni fa da Slow Food come collettore tra associazioni e un migliaio di comitati territoriali, è decollato. Ma almeno è un punto di riferimento su internet, come eddyburg.it dell’urbanista Edoardo Salzano sul paesaggio, patrimoniosos.it sui beni culturali, domenicofiniguerra.it creato dal primo sindaco «cemento zero», gruppodinterventogiuridicoweb.com in Sardegna. Realtà contornate da un pulviscolo di ambientalismo battagliero sui social network, recentemente monitorato nel rapporto #NO2.0. Quattro milioni di account e oltre centomila fra forum, blog e siti che hanno superato la logica ristretta del «not in my backyard» (non nel mio giardino).
Pare di assistere allo «scioglimento nel sociale» cui anelava Alex Langer. Manca ancora la pars costruens, la società che organizza la politica.