La Stampa, 30 novembre 2015
Quando le parole famose viaggiavano col telegrafo
Il messaggio più famoso che la storia italiana ricordi venne inviato per telegramma. Al generale Alfonso La Marmora, che gli aveva intimato di fermare l’avanzata verso Trento contro gli austriaci durante la Terza guerra d’indipendenza, Giuseppe Garibaldi scrisse una parola soltanto: «Obbedisco». Era il 1866.
All’epoca la telegrafia si era diffusa lungo la Penisola già da qualche anno. Da Nord a Sud si contavano 4 mila uffici postali. E i telegrammi erano come gli sms di oggi. Tra l’estate del 1910 e quella del 1911 ne vennero spediti oltre 92 milioni. Tre a testa. Li preferivano alle lettere anche i sovrani. Cent’anni fa, con un dispaccio, Vittorio Emanuele II espresse al re d’Inghilterra, allo zar di Russia e al presidente della Repubblica francese la sua disponibilità a entrare in guerra al loro fianco. Mentre il telegramma firmato da Benito Mussolini più famoso che si ricordi è del 1941 e non ha nulla a che vedere con gli affari di Stato. Nel testo, inviato agli uffici pubblici, l’allora primo ministro imponeva agli impiegati massima puntualità: «È ormai diventato un sistema – scrive – avviarsi all’ufficio alle 8, il che significa essere al tavolo di lavoro non prima delle 8 et 15. Esigo che questa deplorevole abitudine abbia immediatamente a cessare».
Non si conoscono, invece, le parole esatte spedite da Paul McCartney a Mina. Nel telegramma il Beatle si complimentava per la cover di Michelle. Dopo averlo letto la cantante disse: «Oh, ma che carino». E lo cestinò. Chissà quanto varrebbe. Qualche anno fa, invece, gli auguri di compleanno inviati via telegrafo da Krusciov a Gagarin sono stati battuti da Sotheby’s per 68.500 dollari. Anche il presidente Sergio Mattarella ha usato un telegramma per complimentarsi con Emma Morano, la signora di Verbania che ha compiuto 116 anni: «Un eccezionale traguardo mai raggiunto prima da un italiano».