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 2015  novembre 30 Lunedì calendario

Unicredit vuole un milione di clienti in più l’anno. Per riuscirci punta tutto sul digitale e sul prestito istantaneo

«Abbiamo scelto una strada per certi versi impervia...». Poi fa una breve pausa: «Ma se i problemi non si affrontano, da soli non scompaiono...». Federico Ghizzoni, classe ’55, all’UniCredit ha speso tutta la sua carriera professionale. Dal 1980. L’amministratore delegato è appena rientrato dal road show: «Questo piano saremo in grado di portarlo a casa. E lo porteremo. È senza dubbio un piano sfidante perché anziché massimizzare la profittabilità nel breve abbiamo voluto affrontare con decisione alcuni problemi. Dalla forte riduzione dei costi per migliorare l’efficienza e il rapporto costi-ricavi, all’uscita o ristrutturazione di attività non abbastanza redditizie ed infine alla drastica riduzione delle sofferenze – con un miglior rapporto tra sofferenze e impieghi – che intendiamo portare avanti con decisione, come prima o poi tutte le banche dovranno fare. Tutto questo comprime il conto economico nel brevissimo periodo ma contribuisce a creare significativo valore nel medio. La reazione del mercato non mi ha sorpreso: alcuni investitori con ottica a breve hanno disinvestito ma altri investitori, “long only”, cioè con un orizzonte temporale più lungo, hanno invece acquistato Unicredit. Sono certo che questi ultimi saranno ampiamente ricompensati per la loro scelta».
Un piano di risparmi molto intenso con quasi 18 mila tagli al personale, realizzato con cessioni, riorganizzazioni a cominciare da Bank Austria...
«Voglio dirlo subito. Le valutazioni si sono concentrate molto, forse anche troppo, sulla riduzione dei costi. Ma il nostro è soprattutto un piano di crescita e di trasformazione della banca. Ad esempio puntiamo ad avere un milione di clienti in più all’anno, obiettivo già raggiunto nel 2015. A consolidare la nostra leadership sul mercato europeo del corporate e investment banking dove serviamo oltre 6.000 grandi aziende e oltre 300.000 piccole e medie. Penso al private banking oppure al Centro-Est Europa, dove vogliamo continuare ad essere il numero uno. E poi c’è la rivoluzione digitale: è una corsa infinita, e noi, investendo oltre 1,2 miliardi, vogliamo arrivare tra i primi».
Ormai allo sportello le file sono un ricordo del passato.
«L’85% delle operazioni viene realizzato attraverso internet banking, telefonini, tablet. Vogliamo arrivare al 90%. Stiamo intanto ridisegnando completamente il modo di fare banca. Grazie all’utilizzo del big data e dell’analisi delle informazioni sulla nostra clientela, puntiamo entro il 2017 al prestito istantaneo per il 40% del credito alle famiglie».
Prestito istantaneo?
«Sarà possibile valutare l’affidabilità dei clienti in modo superveloce e concedere il prestito in pochi minuti. Lo stesso potrà accadere nel mondo corporate a partire dalle piccole imprese. In questo caso conterà, come sempre, la valutazione del management e la storia dell’impresa che però verrà integrata da informazioni ricevute ed elaborate in tempo reale su tutto quello che circonda l’azienda, a partire da clienti e fornitori. Ciò consentirà di aumentare l’offerta di credito e la sua qualità. Questa per noi è la rivoluzione digitale».
Ci sarà bisogno di sempre meno persone allo sportello.
«In parte è vero ma ci sarà anche uno spostamento da aree di supporto ad attività di business vere e proprie. Nei prossimi due anni ad esempio solo in Italia saranno almeno mille i colleghi che faranno questo passaggio».
Ma il credito alle imprese va ancora al rallentatore...
«Non direi. Nel triennio contiamo di offrire 170-180 miliardi di credito nuovo. Circa 100 miliardi in Italia, 60 alle aziende e 40 alle famiglie. Solo per i mutui pensiamo che circa 250 mila famiglie italiane decideranno di comprare casa con Unicredit».
Non le sembra di essere troppo ottimista...
«Il clima, anche se lentamente, sta cambiando. Le imprese, dopo anni di blocco, hanno ripreso gli investimenti. Le difficoltà restano, ma i segnali positivi si rafforzano. Un anno fa su 100 euro di prestito richiesti, 90 servivano a rifinanziare un vecchio debito. Ora il 30-40 per cento serve a piani di crescita. Una svolta».
Ma per le banche vivere con i tassi zero è uno scenario competitivo mai visto prima.
«Fino al 2018 pensiamo che i tassi resteranno così. Ma grazie in particolare alla nostra presenza nel Centro ed Est Europa, dove il margine di interesse è praticamente doppio rispetto agli altri Paesi del continente e la domanda di credito è più sostenuta, il gruppo potrà crescere anche nella generazione di margine di interesse».
A proposito della rete estera, Unicredit è forse la banca più internazionale tra gli istituti italiani. Cosa che in una fase di turbolenza come questa, dalla Turchia, alla Russia all’Ucraina, non si sta rivelando un punto di forza. Anzi...
«La presenza internazionale così ampia offre benefici in termini di economia di scala e di diversificazione. Oggi le economie del Centro-Est Europa crescono quasi il doppio dell’area euro. Ci sono momenti in cui la diversificazione geografica può creare problemi, ma su un arco temporale più lungo i vantaggi restano molto più elevati rispetto ad una presenza solo domestica. Un numero? Dal Duemila ad oggi il Centro-Est Europa ha dato circa 15 miliardi di utili al gruppo. Ancor di più se includiamo la Polonia».
Il piano cosa prevede per le e imprese?
«In Europa siamo la prima banca nel corporate per totale di credito erogato e per numero di clienti; siamo tra i leader europei nel trade finance e nel capital market ormai entriamo in tutte le operazioni di investment banking più importanti. Vogliamo crescere ancora. Ma non limitiamo le nostre ambizioni alle imprese. Anche nel private banking, dove solo in Italia gestiamo oltre 100 miliardi di euro di cui circa 30 nella fascia più alta della clientela, e cioè dai 5 milioni di patrimonio in su, abbiamo grandi margini di crescita. Tornando al gruppo in tre anni puntiamo a far crescere il totale degli asset finanziari dei nostri clienti da 870 a circa 1.100 miliardi».
E Pioneer?
«Con Santander è tutto concordato. Aspettiamo solo il via libera delle autorità. Insieme a Santander saremo tra i primi dieci gruppi in Europa, con una rete mondiale di oltre 20 mila sportelli. La nuova dimensione ci consentirà di crescere ancora più velocemente sul segmento degli investitori istituzionali che è più costante e meno ciclico di quello retail».
Intanto però in Italia nel sistema c’è una montagna di sofferenze da gestire...
«Pochi se ne sono accorti, ma noi nel prossimi 3 anni riduciamo i nostri crediti problematici di 31 miliardi. Negli ultimi anni abbiamo fatto accantonamenti rilevanti e oggi abbiamo la copertura dei crediti più alta in Italia. Uno sforzo importante per affrontare il problema. Forse più di quanto hanno fatto altri».
E il progetto per la bad bank di sistema?
«A questo punto è un confronto tra il governo e Bruxelles. O si trova una soluzione entro l’anno o è meglio pensare ad altro. Discutere, discutere. Non capisco il comportamento legalistico della Ue».
Qualcosa però è stato fatto con il salvataggio di Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara?
«Si è voluto fare un intervento di sistema per evitare una bancarotta disordinata e una reazione scomposta dei clienti. Era interesse di tutti farla. Dal primo gennaio entreranno in vigore le nuove regole».
Difficile resistere con Pay-pal che vi ruba il mestiere.
«Ormai per i pagamenti ci sono app, start up, trasferimenti di denaro direttamente con i cellulari. Un campo aperto dove noi abbiamo da giocare una carta molto importante: la sicurezza. In tempi di incertezza come questi la banca ha ancora un ruolo fondamentale: può garantire qualità e semplicità assieme alla sicurezza del servizio. Per Unicredit il business dei pagamenti è estremamente importante. Il pagamento è in se un’informazione, ti dice chi è il cliente, i suoi bisogni. Un’informazione utilizzata molto poco finora ma indispensabile in ottica digitale».
Come va il vostro investimento in Mediobanca?
«Siamo soddisfatti. Lo sviluppo all’estero funziona e anche nel retail i risultati si vedono».
Rcs?
«Stiamo aspettando il piano. Ci è stato chiesto lo stand still e l’abbiamo concesso. Aspettiamo di vedere il progetto industriale che arriverà a dicembre».
Avete attraversato giorni complicati con l’indagine sui prestiti e il coinvolgimento del vicepresidente Fabrizio Palenzona...
«Si sono dette e sentite molte cose. Ma ora è chiaro che la governance della banca ha tenuto, non ho dubbi a dirlo forte. L’avvio dell’indagine interna l’ho firmata io con il presidente Giuseppe Vita e il consiglio è stato tenuto costantemente informato. Personalmente ero pronto a prendere tutte le decisioni di mia competenza. Poi tutto si è chiarito sia sul fronte interno che giudiziario».