Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 30 Lunedì calendario

Ciro Moccia, il re della pasta sopravvissuto a 14 colpi di pistola, fa sapere e non si arrende e sfida la camorra

Una “colpa” ce l’ha e ha rischiato di pagarla con la pelle. Rivendicare il sogno familiare dell’antica valle dei mulini, ristrutturare e far vivere vecchi pastifici abbandonati, sfondare nel mondo con i suoi prodotti fregandosene delle mafie del territorio. E denunciando nero su bianco, proprio come aveva fatto suo padre, alcune pressioni estorsive. Ecco perché, sembra dirti Ciro Moccia, 45 anni, uno dei più vulcanici imprenditori della pasta, mi ritrovo a essere sopravvissuto a 14 colpi di calibro 9.
«Ho avuto solo molta paura per mio figlio, stava con me mentre ci sparavano addosso. Mi continuo a chiedere che cosa volessero da me, non so cosa è successo», scuote la testa di fronte a pochi amici con cui si confida, in un letto della Chirurgia dell’ospedale “San Leonardo” di Castellammare di Stabia, dove lo hanno medicato per le lesioni non gravi a un piede e al polpaccio. Patron dell’azienda “Fabbrica della pasta”, titolare di supermercati e da pochi mesi di una Locanda-showroom- museo nel cuore dell’antica Gragnano con vista sul torrente Vernotico, 300 dipendenti diretti e un indotto di oltre mille posti di lavoro, Moccia è rimasto vittima venerdì sera dell’agguato interpretato come un avvertimento della camorra. Indaga la Procura di Torre Annunziata, ma i primi atti d’indagine, con il coordinamento del vicequestore Pasquale De Lorenzo, sarebbero già in viaggio verso la Direzione distrettuale antimafia di Napoli. A guidare la Mercedes, alle 22, c’era Mario, il primogenito di Ciro. Padre e figlio aspettavano che si aprisse il cancello della villetta. Pochi istanti e lo scooter si materializza alle spalle. Qui le versioni si differenziano. Se la vittima racconta di non aver sentito neanche una parola, c’è qualcuno, in paese, molto vicino ai Moccia, che racconta di «richieste precise» reiterate da quei banditi, da mesi. Sembra chiedessero posti di lavoro. Mandati dal clan di Nicola Carfora, il ras ergastolano detto “‘o Fuoco”, o eredi giovanissimi e cocainomani del clan dei sanguinari Di Martino? Lui, che già in passato aveva detto no e denunciato nel 2011 alcune pressioni (proprio come suo padre negli anni Novanta), lascia cadere. Fatto sta che uno dei due punta l’arma sul lato basso della portiera, ficca la testa dentro, punta ai piedi di Ciro, quattordici pallottole, ma tutti verso il basso. Vogliono avvertire, terrorizzare, non fare cadaveri. E la polizia comincia a mettere insieme i primi indizi, tra l’omertà diffusa, qui dove per decenni i camorristi si nascondevano sui monti Lattari, l’Aspromonte dei boss stabiesi.
Chi lo conosce ricorda che Ciro ha vissuto un doppio incubo, mentre facevano fuoco: Moccia rimase orfano quando suo padre Mario si accasciò per un malore, aveva solo 19 anni e si rimboccò le maniche anche per i più piccoli Marianna, Susanna e Antonino, che oggi è rinomato maestro pastaio. Aveva la stessa età del figlio rimasto fortunatamente illeso mentre i killer sparavano. «Io ho sempre portato nel mondo la qualità della nostra tradizione, ho aperto le porte a tanti lavoratori, cercando di offrire benessere, progettualità al paese – spiega ancora Ciro – Certo, ora sento una grande stanchezza. Ho tanti pensieri. Però non ci fermeremo». Poco dopo, sua sorella Susanna, leader dei Giovani di Confindustria Napoli, affida a Repubblica un semplice sfogo: «Viviamo un momento difficile ma ne usciremo con più forza. A volte lo sconforto, un po’ di timore possono prendere il sopravvento. Ma Ciro sta bene, io e i miei fratelli ci siamo parlati, siamo più uniti che mai. Le minacce? I rischi? Vogliamo lasciare a chi deve ricostruire l’accaduto la calma per farlo. Noi possiamo solo continuare ad andare avanti con passione. Come sempre».
Intanto la polizia comincia a esaminare ore di filmati delle telecamere interne al ristorante La Locanda di Gragnano, suggestivo edificio ristrutturato e riaperto «dopo dieci anni di battaglia durissima contro la burocrazia». Gli investigatori stanno verificando se alcune “teste calde” dei clan locali fossero arrivati a portare minacce velate persino tra quei tavoli. Un luogo che sembra un’oasi, panorama sul torrente e sui ponti, di domenica mattina.
«Prego, il museo della pasta da questa parte», ti dice un collaboratore dei Moccia, mentre lui è in ospedale. Il sogno della valle dei mulini non si piega sotto le raffiche.