Corriere della Sera, 30 novembre 2015
In difficoltà in Iraq e in Siria, l’Isis punta tutto sulla Libia
L’Isis si fa sempre più forte e aggressivo in Libia. Tanto che dal suo quartier generale a Sirte minaccia ora la città di Misurata, si allarga verso Bengasi e dalla costa guarda all’Italia, poche centinaia di chilometri di mare aperto più a nord. I suoi militanti si sentono talmente sicuri nelle nuove basi libiche che potrebbero persino attirare alcune delle loro formazioni in questo momento in gravi difficoltà sotto i bombardamenti russi e della coalizione a guida Usa sulla zona di Raqqa in Siria e nelle province irachene sunnite. L’informazione in realtà non è del tutto nuova. Da tempo i tagliagole del Califfato approfittano del caos imperante in Libia per allargare la loro presenza.
Un caos che è persino peggiorato con il recente fallimento della missione pacificatrice volta alla creazione di un governo di unità nazionale tra le milizie rivali basate a Tobruk e Tripoli del mediatore dell’Onu Bernardino Leon, che il 16 novembre ha dovuto lasciare l’incarico al tedesco Martin Kobler. Ma ora l’incubo minaccioso e violento dell’Isis torna all’ordine del giorno dopo che due quotidiani rilevanti come il “New York Times” e il “Wall Street Journal”, citando per lo più fonti dell’intelligence Usa e testimoni in Libia, segnalano con preoccupazione il suo nuovo radicamento nelle stesse regioni che sino alle rivolte del 2011 erano le più fedeli all’ex colonnello Gheddafi.
Già un anno fa gli abitanti di Sirte avevano segnalato con paura l’arrivo dei volontari stranieri dell’Isis, sempre più forti, più numerosi, più aggressivi. «Questa mattina sono venuti nelle nostre case, hanno effettuato alcuni arresti arbitrari e adesso quattro nostri concittadini pendono crocefissi a una struttura di legno e ferro alle porte della città», ci aveva detto al telefono allora una 34enne della famiglia di Gheddafi, intrappolata nei quartieri del centro. Quindi era giunto l’obbligo per le donne di indossare il velo fuori dalle loro case assieme a nuovi programmi integralisti per gli studenti nelle scuole. Sembrava più che altro il tentativo maldestro di piccoli gruppi di esaltati desiderosi di apparire più potenti di quanto fossero in realtà presentandosi come rappresentanti locali del Califfato trionfante allora a Mosul e nel Nordest siriano. Ma poi erano stati diffusi i video delle decapitazioni degli ostaggi copti, le brigate con la bandiera nera si erano fatte vedere verso i terminali e i centri petroliferi di Ajdabia (solo 100 chilometri a ovest di Bengasi), le loro pattuglie si erano aggiunte al fronte delle milizie islamiche che verso le Montagne Verdi, specie nelle cittadine di Al Badya e Derna, dettano legge e lasciano spazio ai miliziani islamici più oltranzisti. Ora stanno dando filo da torcere ai soldati legati al generale Khalifa Haftar, l’ex generale del corpo di spedizione di Gheddafi nella guerra del Ciad, una trentina d’anni fa, che adesso è ministro della Difesa del governo di Tobruk. È da aprile che Haftar proclama la vittoria sulle milizie fondamentaliste a Bengasi, ma ogni volta viene smentito dai fatti sul campo di battaglia.
«L’intero gruppo dirigente dell’Isis a Sirte viene dall’estero», dice al” New York Times” il responsabile di una nota compagnia di traporti a Misurata. Si chiama Nuri al Mangush, ammette che ormai le strade sono controllate dai «barbuti in nero», il Paese è diviso in due, con le grandi arterie di comunicazione che attraverso il deserto portano all’Africa sub sahariana a rischio rapimenti e attacchi di ogni tipo. Si calcola siano almeno 2.000 i volontari dell’Isis oggi presenti in Libia. Un numero destinato a crescere. A Mosul sin dal giugno 2014 una delle brigate più note che si occupò di perseguitare la popolazione cristiana è appunto di origine libica: i suoi militanti tengono contatti e scambi continui con Sirte. Pare inoltre che uno degli ex ufficiali dell’esercito di Saddam Hussein, noto ora come Abu Ali al Anbari e attivo tra i leader militari di Isis, sia di recente giunto a Sirte via mare con il compito di studiare nuove strategie operative. A Washington gli esperti dell’antiterrorismo non nascondono più l’opinione per cui l’Isis, oggi sotto assedio e in difficoltà in Siria e Iraq, potrebbe rilanciare proprio la Libia quale centro di irradiazione verso l’Africa e l’Europa. Piccoli gruppi di teste di cuoio americani e britannici sarebbero già stati mandati nel Paese per esaminare la minaccia e i primi rapporti si rivelerebbero tutt’altro che rassicuranti.