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 2015  novembre 30 Lunedì calendario

Papa Francesco apre la prima Porta Santa del Giubileo: a Bangui, nella Repubblica Centrafricana, dove da tre anni si combatte una guerra

Bangui (Repubblica Centrafricana). «Oggi Bangui diviene la capitale spirituale del mondo. In questa terra sofferente ci sono anche tutti i Paesi del mondo che passano per la croce della guerra». Francesco resta un istante sospeso, le mani posate sulle assi di legno del portale al centro della facciata di mattoni rossi. I missionari li impastarono ottant’anni fa con la terra che si vede ai margini delle strade e colora il fiume Ubangi. È tutto così diverso da ciò che si vedrà a San Pietro l’8 dicembre. «L’Anno Santo della Misericordia viene in anticipo a questa terra». Caschi blu, mezzi corazzati dell’Onu in tutta la città, cecchini sui palazzi in rovina e decine di migliaia di persone in festa, le donne e i bimbi col vestito buono, le bambine con le trecce ornate di perline e nastri colorati, un uomo che sorride ai giornalisti: «Per voi niente pericolo, sicurezza, state tranquilli, vi vogliamo bene».
Sono le 17.13 quando Francesco apre i battenti della Porta Santa, primo Pontefice nella storia a farlo fuori da Roma. Le milizie musulmane, gli «anti-Balaka» cristiani, massacri, case bruciate. Il Papa ha scelto una zona di guerra, la guerra civile che dura da quasi tre anni. «In questa prima domenica di Avvento, tempo liturgico dell’attesa del Salvatore e simbolo della speranza cristiana, Dio ha guidato i miei passi fino a voi, su questa terra», dice solenne nell’omelia. Il perdono dei nemici «contro la tentazione della vendetta e la spirale delle rappresaglie senza fine». Dio che «è giustizia e innanzitutto amore».
Si rivolge ai fedeli: «Anche quando le forze del male si scatenano, i cristiani devono rispondere a testa alta, pronti a resistere in questa battaglia in cui Dio avrà l’ultima parola: e sarà d’amore!». Poi sillaba: «A tutti quelli che usano ingiustamente le armi di questo mondo, io lancio un appello: deponete questi strumenti di morte, armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace».
Prima di entrare in chiesa, ha parlato a braccio ai fedeli rimasti fuori: «Bangui diviene capitale spirituale per la preghiera della misericordia del Padre. Tutti noi chiediamo pace, misericordia, riconciliazione, perdono, amore. Per Bangui, il Centrafrica e tutto il mondo». In lingua sango fa ripetere: Ndoye Siriri, amore e pace!
I primi a salutarlo sono stati al mattino i profughi che vivono nelle baracche ai margini dell’aeroporto protetto dai soldati. Bambini sui prati lungo la pista, bandierine e immagini sacre, ragazzi che giocano a pallone.
Chi scende dal volo papale viene fatto salire su pulmini con la scritta «UN», un casco blu al volante e accanto un altro armato. Il Papa percorre quattro chilometri con l’auto chiusa e cinque su quella aperta. Al campo profughi bambini e famiglie lo circondano, stringe mani, carezza i bambini, sembra non voler andare più via. «È arrivato il Signore, per noi cambierà tutto», spera una donna. Stamattina Francesco andrà alla moschea. Alle autorità ha chiesto «unità, dignità e lavoro». Poi ha esortato a evitare «la tentazione della paura dell’altro, di ciò che non ci è familiare, non appartiene al nostro gruppo etnico, alle nostre scelte politiche o alla nostra confessione religiosa».