Libero, 29 novembre 2015
«È tutta una questione di prove». Parla Steve Cavanagh, penalista di giorno, scrittore di notte
Il difensore (Longanesi, pagg. 354, euro 18,50) è forse il miglior legal thriler dell’anno, quello che si aspetta sempre di leggere per immergersi nel mondo processuale, dove le parole sono le uniche armi per vincere. Scritto da Steve Cavanagh, avvocato di professione nell’Irlanda del Nord, è un romanzo che agguanta il lettore alla gola. Il protagonista è – ça va sans dire – un avvocato con una bomba incerottatagli sulla schiena dalla mafia russa che gli ha anche sequestrato la figlia per ottenere un matematico successo processuale. L’avvocato bombastico non è però soltanto uno straordinario animale processuale ma anche un ex truffatore aduso ai segreti della strada ed ai modi per uscirne sotto pressione. Che poi è la condizione normale degli avvocati, quella di lavorare con mille spine conficcate nella carne, tanto per intenderci. La parte processuale è superba ma anche le pagine dedicate all’azione sono un antidoto alla noia. La verità non esiste nei processi: esiste solo quello che i pubblici ministeri riescono a provare. È proprio così, Cavanagh?
«Sì. Non so in Italia, ma negli States ed in Inghilterra i processi penali non mirano a scoprire la verità. Si tratta di un processo strutturato sulle prove. Viene creduto chi riesce a fornire la prova più convincente. In Gran Bretagna l’obiettivo più vicino a cui possiamo ambire se parliamo di un’udienza tesa alla ricerca della verità è un’inchiesta pubblica ad ampio raggio».
Quanto è importante la regola Non chiedere, non sapere per un avvocato?
«In diritto penale è una delle cose più importanti. E non la impari all’università. Se tu domandi ad un tuo cliente se sia colpevole, c’è la possibilità che ti risponda di sì ma poi vorrebbe che continuassi comunque a difenderlo in tribunale, cosa che non potresti fare. Se il tuo cliente ti confessa di essere colpevole, devi invitarlo a dichiararsi tale. Se lui rifiuta di dichiararsi colpevole, potresti sempre passare il caso ad un altro studio legale. Non ci è consentito ingannare la Corte».
Quali sono stati i casi più importanti di cui ti sia occupato in carriera? Quali ti hanno colpito sotto l’aspetto umano?
«Quello a cui sono più affezionato riguardava un caso di discriminazione razziale in una fabbrica. Il mio cliente subì almeno vent’anni di abusi razziali denunciò i suoi capi che non fecero nulla per fermare le vessazioni. Lo difesi, il processo durò due settimane circa, alla fine vincemmo ed ottenemmo il più grande risarcimento per discriminazione razziale nella storia giudiziaria dell’Irlanda del Nord».
Che cosa detesti di più nella tua professione di avvocato e cosa ne ami?
«Penso di detestare i giudici pigri. Non voglio essere frainteso, la maggior parte dei giudici svolge un eccellente lavoro, ma alcuni sono davvero troppo sbilanciati a favore delle forze di polizia. Nel diritto non esiste niente di peggio di un cattivo giudice. Cosa amo di più del mio lavoro ? Aiutare le persone. Qualche volta si riesce a fare la differenza nella vita di qualcuno. Si tratta di una responsabilità davvero pesante, ma se riesco a fare bene, dopo non esiste nulla di meglio della consapevolezza di avere aiutato qualcuno che ne aveva veramente bisogno».
E quando scrivi?
«Quando scrivo, la parte che mi piace di più è vedere un mio libro su di uno scaffale: è una cosa veramente grande! Cosa odio della scrittura? Le notti perse. Io da avvocato che lavora ancora, e quindi spesso mi ritrovo a scrivere di notte, fino alle 2 o alle 3 del mattino: mi rimangono poche ore di sonno prima di alzarmi di nuovo ed andare in tribunale. Le notti bianche mi uccidono».
Quante volte non hai dormito invece per le preoccupazioni indotte da un caso importante o difficile?
«Sono poche le notti in cui abbia dormito serenamente. Soprattutto all’inizio della mia carriera. Poi ho capito che non si può vincere sempre e quanto sia pericoloso farsi risucchiare da un caso professionale».
Quali scrittori ti hanno maggiormente influenzato?
«Sicuramente Grisham. Il Socio (The Firm in originale)resta per me uno dei migliori thriller mai scritti. Ho letto tutto Turow e Grisham ma credo di essere stato maggiormente influenzato da scrittori come Lee Child, John Connolly, Michael Connelly e Raymond Chandler. Child e Connolly, di Birmingham e Dublino, sono riusciti a sfondare negli States. Un augurio per me».
Quanti avvocati onesti conosci?
«Suona come l’inizio di una barzelletta! La maggior parte degli avvocati che conosco sono onesti. Ci sono pochi avvocati disonesti, ne leggo ogni tanto su qualche giornale. Non li conosco personalmente».
Pensi che ci sia una grande differenza tra un truffatore ed un avvocato?
«Un truffatore di solito indossa l’abito migliore. Questo è quello che ho cercato di rendere nel libro, con un occhio privilegiato alle strategie processuali. La maggior parte degli avvocati condividono le stesse abilità tipiche dei truffatori: devono persuadere, a volte manipolare, distrarre. Non c’è differenza tra un buon avvocato abituato alla lotta in aula e gli artisti che confezionano il loro miglior prodotto. Nel controesame ciò che vince su tutto è la dannata battaglia delle parole».
Speri che i tuoi figli scelgano di fare il tuo mestiere?
«No. Spero che optino per qualcosa di più tranquillo. Magari il bancario».