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 2015  novembre 29 Domenica calendario

Le 30 più grandi banche mondiali valgono quasi 60mila miliardi di dollari, il 76% dell’intero Pil mondiale

L’ennesimo scandalo sui derivati che ha coinvolto questa volta la grande banca d’affari pubblica cinese, la Citic, che avrebbe sovrastimato il proprio portafoglio in prodotti derivati per 166 miliardi di dollari, riapre, se ancora ce ne fosse bisogno, il tema spinoso del gigantismo finanziario e dei rischi impliciti che questo comporta a livello globale. Il mondo ha rischiato di implodere con la crisi Lehman sotto il peso di una finanza aggressiva, cresciuta in modo esponenziale in volumi tanto da scollarsi completamente dalla sottostante economia reale. Una divaricazione folle che ha avuto bisogno della massiccia cura delle banche centrali per scongiurare il peggio. 
Già l’incubo del collasso del 2008-2009 sembra davvero dietro le spalle. Ma è davvero così? Un recente studio di S&P Capital Iq e Snl, i provider di analisi finanziaria di McGraw Hill, rilancia a otto anni dal crac Lehman un monito allarmante. Le 30 più grandi banche mondiali, le too big to fail detengono attività complessive per un valore di quasi 60mila miliardi di dollari, una cifra difficile quasi da pronunciare e che vale il 76% dell’intero Pil mondiale. Trenta conglomerati finanziari che manovrano titoli di ogni natura e che surclassano qualsiasi potenza economica a livello globale. L’ipertrofia della grande finanza non è affatto uscita ridimensionata dalla crisi più grave del Dopoguerra. A guidare la classifica gli Stati Uniti con le sue grandi banche d’affari che totalizzano attività complessive per quasi 15mila miliardi, quasi il 90% del Pil americano. Ma è la Cina a inquietare: solo le sue prime 4 grandi istituzioni creditizie (Bank of China; Agricultural Bank of China; China Construction Bank e Industrial e Commercial Bank) sommano esposizioni totali per una somma che vale il 20% in più del Pil cinese. E le dimensioni della grande finanza inglese e francese fanno sì che i loro sistemi bancari totalizzino oltre le 3 volte la ricchezza lorda prodotta ogni anno dai due paesi. Eppure dopo la crisi Lehman le banche in tutto il mondo hanno ridotto da un lato i loro attivi di bilancio e dall’altro rafforzato il capitale. Tutto vero, ma i numeri in campo tuttora dicono che la grande finanza continua a sovrastare ampiamente le dinamiche della crescita economica e della ricchezza reale. Del resto non poteva che andare così, dato sia il fortissimo spiegamento delle politiche monetarie delle banche centrali che hanno portato i tassi a zero, inondato il mondo di liquidità sia il contemporaneo apprezzamento (conseguenza anche delle politiche ultra-espansive) degli asset finanziari di ogni tipo, la materia prima delle grandi banche d’investimento. Se mi finanzio pressoché gratis è fisiologico che investa in strumenti finanziari: dalle borse salite ai massimi storici, ai bond, alle obbligazioni corporate fino ai titoli strutturati, sapendo che il guadagno è pressoché certo. Perché ridurre il rischio se il rischio non c’è. Una condizione eccezionale però che rischia, appena la normalità sui tassi verrà ripristinata, di aprire scenari inconsueti e pericolosi. Quella montagna di derivati che occupa in media la metà dei bilanci delle 30 big bancarie del mondo (almeno 30mila miliardi di dollari) ha trovato finora un’adeguata compensazione tra le stesse controparti bancarie di fatto minimizzando il rischio di maxi-perdite. Ma questo in virtù delle massiccie politiche ultra-accomodanti delle banche centrali mondiali che neutralizzano i rischi finanziari e fanno di fatto da paracadute per ogni evenienza. Ma tutti sanno che non durerà per sempre. Che potrebbe accadere se una scommessa al rialzo su miliardi di opzioni e futures dovesse infrangersi, o se il rialzo dei tassi dovesse deprezzare asset finanziari in portafoglio? Non è un caso che il Financial Stability Board chieda, e lo ha fatto ancora di recente, di continuare ad alzare la guardia e cioè continuare a tenere d’occhio l’adeguatezza del capitale. L’autorità di regolazione vuole infatti che le banche sistemiche tra cui gran parte delle 30 big mondiali esaminate da S&P Capital Iq portino la loro dotazione di capitale sugli attivi a rischio al 18% nei prossimi anni. La lezione Lehman evidentemente a qualcosa è servita.