Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 29 Domenica calendario

Antonio Romano, l’uomo che disegnò la farfalla della Rai



Digitando Antonio Romano su alcuni motori di ricerca il primo record visivo è un’immagine del 2010 che lo ritrae all’interno del museo dell’Ara Pacis di Richard Meier. L’occasione dello scatto fu la retrospettiva romana che ripercorreva i trent’anni di carriera di questo operoso designer. Romano si è principalmente misurato con la grafica, l’immagine coordinata e la strategia d’impresa. Dopo le letture di Bruno Munari, Gillo Dorfles e Le Corbusier e la laurea in architettura, il dibattito culturale lo spinse a recuperare lo spirito europeo del Bauhaus come originaria fonte d’ispirazione e approccio metodologico. Su queste basi decise di aprire il suo studio. Era il 1980 è la ragione sociale era soltanto Studio Romano. I tempi e le sorti della crescita professionale che oggi lo hanno portato al vertice della realtà internazionale Inarea erano in divenire. Eppure la formula matita e segno grafico, dialogo e piglio multidisciplinare in quegli anni è nata e si è sviluppata fino a diventare la visione di decine di dipendenti che tra progettisti e operatori occupano le sedi e le reti dello studio in Italia e all’estero. 
Il catalogo di marchi e identità visive disegnati da Romano è vasto ma l’abilità più apprezzata ancora oggi è quella di saper intervenire su marchi storici che necessitano di smalto e nuova energia comunicativa. È accaduto per la Rai con il logo antropo-zoomorfo della farfalla composta da volti sinuosi, passando per il redesign del cane a sei zampe di ENI a cui si è legato il ripensamento dello spazio, dei servizi e delle funzioni delle stazioni di rifornimento. La capacità di relazionarsi con organizzazioni complesse e istituzioni pubbliche fa di lui un mediatore culturale prestato al design dove la psicanalisi del cliente è diventa rieducazione di comunità, quella interna dell’azienda che decide di cambiare e quella esterna degli utenti che a un’impresa si riferiscono per un prodotto, un servizio o un intero sistema infrastrutturale. 
Sono i casi di Trenitalia, di TIM, della Borsa Italiana ma anche del CONI e dei comuni di Milano e Roma capitale. Antonio Romano è pugliese d’origine ma sulla linea Termini-Centrale ha costruito una carriera e tornando a guardare al catalogo clienti per scorgere una poetica visiva che è politica perché dedicata al pubblico e italiana per l’uso delle forme e della campiture, si trovano i marchi dell’Università La Sapienza (dove ha anche insegnato), della Biennale di Venezia, di Cinecittà Luce e dell’ACI: codici grafici, logotipi che raccontano il made in Italy e le sfide di un paese che nella cultura, nel cinema, nella bellezza spesso si dimentica di credere e investire con costanza. 
Chissà se Romano, ideatore anche dei loghi di Confindustria e dei sindacati Cgil e Cisl, non abbia sempre interpretato il suo ruolo di innovatore visivo e progettista integrato anche come sottosegretario ombra di un ipotetico ministero della grafica. In caso contrario glielo suggeriamo, il nostro paese ha bisogno di designer.