Il Sole 24 Ore, 29 novembre 2015
La caricatura dell’architettura. Due secoli di satira
È incredibile il numero di caricature, vignette satiriche e illustrazioni umoristiche che negli ultimi due secoli hanno esercitato un ruolo critico attivo verso il mondo dell’architettura e dei suoi protagonisti. Dall’Ottocento in avanti la grafica satirica, nelle sue molteplici espressioni, ha infatti dedicato un’attenzione straordinaria al lavoro degli architetti, registrandone la profonda influenza sulla società e mettendone in luce, in modo spesso spietato, i punti deboli. Le grandi e sofferte trasformazioni urbanistiche (dalla Parigi di Haussmann alle periferie sovietiche); gli edifici pensati per un pubblico di massa (dal Crystal Palace del primo Expo al Guggenheim di Bilbao); la rivoluzione dei modelli abitativi e la personalità degli architetti (da Frank Lloyd Wright a Renzo Piano) hanno stimolato la matita di artisti eccezionali, capaci di sintetizzare in poche linee i caratteri più rappresentativi di tali fenomeni e le relative contraddizioni. Tra questi ci sono Honoré Daumier, George Cruikshank, Thomas Theodor Heine, W. Heath Robinson, Louis Hellman, Alan Dunn, Mino Maccari, Leo Longanesi, George Molnar, Saul Steinberg e tanti altri.
Grazie a un’estesa ricerca condotta in diversi paesi, si è tentato di mettere insieme, per la prima volta, questo straordinario materiale iconografico – proveniente soprattutto da quotidiani e periodici – nel tentativo di comporre una storia dell’architettura “alternativa”. Infatti, se con la diffusione dei mass media anche gli architetti hanno sfruttato le logiche della comunicazione pubblicitaria creando manifesti, riviste e slogan adatti a promuovere le proprie tesi, il mondo della grafica satirica ci offre una prospettiva diversa, spesso antitetica rispetto alla propaganda ufficiale. Alla voce dei razionalisti, che amavano il tetto piano come simbolo di modernità, risponde ad esempio una vignetta del 1928, pubblicata a Francoforte, in cui una famiglia tedesca è costretta a cenare con l’ombrello in mano perché l’avanguardistico tetto perde acqua. Ma il razionalismo diventa irrazionale per molte ragioni: per la mania della trasparenza (con la gente che poi ti guarda in casa), per gli arredi in metallo (gelidi in inverno, e perciò da attaccare al termosifone), per la mancanza di ogni decorazione (la moglie depressa non ha niente da guardare). Tutto l’opposto del Liberty, così decorato da produrre incubi, o delle bizzarrie di Antoni Gaudí: la sua Casa Milà a Barcellona fu dipinta come un garage per dirigibili, o come un grande zoo per animali. C’è anche la parodia dell’Unité d’habitation di Le Corbusier a Marsiglia, in cui la cellula abitativa diviene cella carceraria, o del Guggenheim di New York, strano oggetto – «un gigantesco portapillole» – atterrato sulla Quinta Strada. Oppure la caricatura di Frank Gehry fatta dal cartoon «The Simpsons», in cui l’archistar progetta edifici tanto stravaganti quanto inutili.
Battute semplici, almeno a prima vista. Il difficile compito di restituire, in pochi tratti e poche parole, un messaggio comprensibile da ampie fasce di pubblico, implica infatti un’operazione di sintesi che spesso va ben oltre la battuta ad effetto, congelando con lucidità le immagini e gli stereotipi del tempo e sollevando domande scomode per gli architetti. È accettabile abitare in scatole prefabbricate di latta? E in un quartiere di villette tutte uguali? Che senso ha costruire delle case con il tetto piano in regioni dove nevica per mesi? Come si coniuga il mito della trasparenza con il nostro desiderio di privacy? Si può lavorare in un ufficio organizzato come un pollaio? Come si sente un essere umano in una selva di grattacieli alti centinaia di metri? Dove finisce l’ego dell’architetto e dove inizia la considerazione delle esigenze dell’abitante?
Il carattere critico di buona parte di questi disegni porta ad accostarli a una lunga lista di giudizi negativi espressi nei confronti della “nuova” architettura dall’Ottocento in poi. Per fare qualche esempio, molto diverso l’uno dall’altro, si possono ricordare le dure parole di John Ruskin e A.W. Pugin nei confronti del Palazzo di Cristallo («il più mostruoso oggetto mai progettato»); le proteste dei parigini contro la Tour Eiffel («una torre vertiginosa e ridicola... odiosa colonna di ferro imbullonata»); la critica dell’architettura moderna nei film di Jacques Tati; fino alla parodia televisiva di Fuffas, caricatura del noto architetto romano, messa in scena da Maurizio Crozza.
Ma la questione è più complessa. Un’analisi attenta porta spesso a smascherare, dietro all’attacco a un edificio o a un progettista, questioni che trascendono i limiti dell’architettura, presa come capro espiatorio o strumentalizzata per trame di vario genere. Lo dimostrano le caricature contro il Bauhaus, appoggiate dai nazisti, felici di denigrare i giovani architetti “bolscevichi”; le incisioni satiriche de «Il Selvaggio» negli anni del Fascismo; i cartoons pro e contro la Sydney Opera House, legati alla situazione politica australiana; eccetera. Dietro a ogni caricatura si svelano allora molteplici livelli interpretativi, che evidenziano come i confini disciplinari dell’architettura siano percorsi da questioni trasversali, legate a logiche politiche, culturali, economiche, estetiche, sociali. L’approfondimento dei significati visibili e invisibili di questi disegni offre dunque l’opportunità di monitorare questi confini da una prospettiva inconsueta, facendoci riflettere sul complesso rapporto tra architettura e società. Con sullo sfondo, come leitmotiv, il rapporto tra il pubblico e la modernità, in questo caso architettonica e urbana, che le molteplici espressioni grafiche qui contenute sembrano commentare, criticare ed esorcizzare.