il Giornale, 29 novembre 2015
Sui debitori. La quarta lezione di Balzac sull’«arte di onorare i debiti e pagare i propri creditori senza scucire neanche un centesimo»
Mio zio era molto legato a un debitore celebre che tutti conoscono, il quale ha avuto e ha tuttora svariati milioni di debiti. È uno di quei tipi scaltri da cui nessun creditore può vantarsi di essere mai riuscito a cavare un centesimo; invece, lui, sguazza nell’oro e nell’argento; ha rifornito diversi governi europei, ha anticipato capitali a monarchi che ne erano sprovvisti – infatti il numero di persone oneste senza soldi è illimitato – e negli ultimi tempi ha guadagnato, intraprendendo un’unica iniziativa, fino a 1.200 franchi l’ora. Purtroppo per lui questo stato di grazia è durato solamente tre mesi. Il suddetto individuo è riuscito talmente bene a tagliarsi fuori da leggi e norme commerciali, da diventare insequestrabile, sia lui sia i suoi beni. Ha al suo servizio uno stuolo di burattini e di fantocci e ha preso moglie solo perché gli serviva da prestanome. È necessario riscuotere, prendere, fare incetta, e persino appaltare? Il governo se lo ritrova sempre a portata di mano, in carne e ossa. Bisogna pagare? Non è più che una mera ombra, una di quelle chimere a cui sono tanto affezionati molti inguaribili romantici che non hanno niente in comune con questo genere di debitori.
Tuttavia, egli non è stato esentato da una visita al carcere di Sainte-Pélagie; ma si è detto che era più che altro una questione di forma e per impratichirsi un poco del luogo. Sfortunatamente, esistono pochi debitori di cotanto genio, e tutti i poveri consumatori per cui scrivo sono lungi dall’avere i mezzi necessari per poter agire allo stesso modo.
Ebbene, a questo punto è fondamentale dare una definizione di «debitore» e spiegare in quali situazioni potreste essere considerati tali. Si chiama «debitore» colui che deve qualcosa a qualcun altro. Nelle leggi romane il debitore ha l’appellativo di debitor o reus debendi, reus promittendi e talvolta semplicemente reus; ma bisognerebbe utilizzare con cautela la parola reus, poiché, se usata avulsa da un contesto, isolatamente, può acquisire il significato di «colpevole» o «accusato», cioè di debitore o di creditore. Le Sacre Scritture proibiscono al creditore di arrecare offesa al debitore e di angariarlo sia con l’usura che con male parole (Esodo, 22, 25). Tuttavia, questo insegnamento è stato costantemente messo in atto nel modo più scorretto, sia dalle nazioni antiche sia da quelle moderne; presso gli ebrei, per esempio, il creditore che non era stato pagato poteva far mettere in prigione il debitore e finanche far vendere lui, la moglie e i figli. In questo caso il debitore diventava schiavo del creditore. In Turchia le cose erano messe ancora peggio: un creditore musulmano aveva il diritto, una volta scaduto il termine della promessa di pagamento, di far impalare il debitore nonostante fosse anch’egli musulmano; se invece il debitore era greco o ebreo, cristiano o cattolico romano, a maggior ragione poteva farlo impalare senza grasso, premurandosi, tuttavia, di comunicarlo ufficialmente alle autorità competenti.
La legge delle Dodici Tavole era ancora più dura: essa permetteva di dilaniare il debitore in tanti pezzi, e di distribuirne le membra ai creditori come rimborso, proporzionalmente al debito. Ma se di creditori ce n’era uno solo, questo non poteva togliere la vita al debitore; poteva unicamente farlo vendere all’asta sul pubblico mercato. In India i creditori non erano così incivili; si accontentavano di andare a letto con la moglie o con una delle figlie del debitore (a scelta); ma potevano farlo una sola volta. I creditori innamorati pagavano spesso un prezzo molto alto per questo genere di capricci. Quasi sicuramente deriva da questo uso il modo di dire «pagare in natura».
Fu il tribuno Petilius a privare i creditori del potere di rendere i debitori insolvibili e di ridurli in servitù nella propria dimora, e che dispose che il debitore non potesse più essere aggiudicato come schiavo al creditore. Settecento anni dopo, Diocleziano riconobbe la validità di questa legge e la integrò, vietando completamente quel tipo di servitù temporanea chiamata nexus. A partire dall’anno romano 428 i creditori non ebbero altra facoltà se non quella di far rinchiudere i debitori in una prigione pubblica, fino al pagamento della somma dovuta. Tutto ciò consolida la tesi che la figura del creditore è vecchia quanto il mondo e che, dal momento in cui ci sono stati due uomini sulla terra, uno dei due è obbligatoriamente diventato il creditore dell’altro.
Giulio Cesare che compativa gli sfortunati debitori, concesse loro il beneficio della cessione dei beni in modo che potessero sottrarsi al carcere rinunciando a tutto, e che non perdessero le speranze di potersi, un giorno, rimettere in sesto. Una volta abolite la pena di morte e la schiavitù, non restò altra punizione per il debitore che l’arresto per insolvenza; e dio solo sa se, da allora – dai creditori di quei tempi lontani sino a quelli di oggi – i suddetti signori hanno fatto ampio uso della legge di Giulio Cesare, che sembrerebbe essere in auge ai nostri giorni più che mai, dato che le buone istituzioni svaniscono all’istante, mentre, a quanto pare, quelle cattive risorgono sempre.
Si può, infine, scovare nella Storia generale dei viaggi una gran quantità di usi e costumi singolari riguardo al modo in cui i debitori vengono trattati dai diversi governi. Si riferisce che in Corea il creditore ha il diritto di inferire quotidianamente quindici bacchettate sulle gambe del debitore che non ha rispettato la scadenza del pagamento, e che spetta ai familiari pagare i debiti dei loro parenti. In Francia accade l’opposto: infatti non di rado si possono vedere creditori presi a bacchettate dai debitori, e familiari rinnegare i debiti, cioè non pagarli, anche quando si tratta dei loro parenti più stretti.