La Stampa, 29 novembre 2015
Come crescono Abu Dhabi e il suo Gran Premio
«I soldi non sono un problema». Ad Abu Dhabi funziona così: prendi un’isola paludosa, la bonifichi, ci costruisci sopra un autodromo, una marina, alberghi di lusso, un campo da golf, un parco giochi marchiato Ferrari e la colleghi alla città con un’autostrada. Poi rilanci a piacere: mettiamoci anche un museo, anzi due, un Louvre e un Guggenheim, arte classica e moderna. Che cosa sono 15 miliardi di euro, il costo totale del progetto, se ogni giorno dai pozzi di petrolio escono due milioni e mezzo di barili di oro nero? L’idea di organizzare un Gran premio da queste parti risale al 2007: la Formula 1 continuava a espandersi a Est e il Bahrein era stato il primo Stato mediorientale a ospitarla. «Ci sono molti Paesi in lista d’attesa», fece presente Bernie Ecclestone per tirare un po’ sul prezzo, ma di fronte a un’offerta di 60 milioni strinse subito la mano all’emiro. Che rilanciò: «Il tramonto è molto bello nel deserto. Facciamo una gara che comincia col sole e finisce di notte, illuminata dai riflettori».
Proposta irrinunciabile
L’opera viene consegnata nel settembre 2009 dopo 184 milioni di ore di lavoro, l’equivalente di 21 mila anni. In novembre si disputa un primo Gran premio senza emozioni, l’anno dopo la Ferrari e Alonso regalano il Mondiale alla Red Bull e a Vettel. È una pagina di storia, la prima. Nel 2014, primo e unico caso finora, la corsa assegna il doppio dei punti e per questo costa quasi il doppio agli emiri (anche Ecclestone è bravo a rilanciare). Però la sfida non è ancora vinta. C’è chi, con una metafora troppo facile, definisce la Yas Marina una cattedrale nel deserto, chi un posto finto con una pista sacrificata. Altri costosi autodromi sono finiti male: Turchia, Corea e India hanno chiuso per mancanza di pubblico, denaro e fascino. Abu Dhabi, invece, cresce. Ieri non c’era una camera libera in tutta la Yas Island, comprese le 499 residenze dello spettacolare Viceroy a forma di balena, costato 400 milioni: 200 per costruire la struttura e altrettanti per realizzarne il tetto. Le camere che fuori stagione sono vendute a 140 euro a notte sono andate via a oltre mille per una doppia standard. E c’è chi ne ha spesi oltre 6 mila per la mega suite con piscina privata. Esauriti anche i 60 mila biglietti per i 60 mila posti in tribuna.
A molti piloti non piace
Sono numeri da Montecarlo, che rimane il modello di riferimento. Sole, caldo, mare e divertimento, ospiti ricchissimi e vip, feste e musica fino a notte fonda, alcolici senza limitazioni. Abu Dhabi guida assieme a Singapore la classifica dei nuovi classici che, per atmosfera e quantità di pubblico, non fanno rimpiangere le piste della tradizione nella vecchia Europa. Poi, certo, i piloti che escono dall’hotel solo per andare al circuito (e in questo caso percorrono 200 metri appena) a volte storcono il naso. «Questi nuovi circuiti sembrano tutti uguali – ha brontolato Raikkonen -, d’altronde li ha disegnati la stessa persona (Hermann Tilke, ndr). A me piaceva Magny Cours», ovvero il polo opposto del glamour, un paese in mezzo alla campagna francese a prova di tentazioni, che la F1 ha abbandonato sette anni fa. Abu Dhabi è l’esempio che Ecclestone vorrebbe replicare nel mondo, ma non è facile: Austin, negli Usa, il mese scorso è stato sommerso dalla pioggia e ha incassato meno della metà del previsto, Sochi (Russia) sorge intorno al villaggio olimpico e non se la passa benissimo, il Messico è stato un successone, però lo era stato anche il Gp di Turchia nell’edizione inaugurale, prima di costringere gli organizzatori a coprire le tribune con un telo perché in tv non si notasse l’assenza di spettatori. Prossima nuova tappa nel 2016 è Baku, in Azerbaigian, Paese di grandi ricchezze naturali. Anche lì i soldi non sono un problema.
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