Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 29 Domenica calendario

I robot del futuro saranno soffici, umidi, fatti di fibra. In pratica, cuccioli di uomo

GENOVA.
Un cucciolo d’uomo che aiuta nelle faccende domestiche. Un adulto a cui affidare i compiti più rischiosi. Una capra che si inerpica dove nessun altro può arrivare e si trasforma in centauro per usare le mani. Una pianta le cui radici si fanno sempre più sottili per introdursi nel corpo umano e portare le cure adatte ad aggredire ogni forma di malattia. Il robot sarà una sempre più sofisticata e perfetta, ma pur sempre macchina, spiega Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia, con sede a Genova, che si appresta a tagliare il traguardo dei suoi primi dieci anni di vita. Scienziato costretto anche a farsi manager per gestire attività e strategie dell’Istituto, Cingolani – che ha un passato da grafico pubblicitario – nello schizzo fatto per Repubblica riassume con un tratto plastico il concetto che l’Iit sviluppa nel campo dell’intelligenza artificiale: il robot del futuro è una macchina che interagisce con l’uomo in modo sicuro.
Professor Cingolani, ma fino a che punto robot e uomo potranno avvicinarsi?
«Noi facciamo sempre una considerazione che può apparire banale: il computer più sofisticato non fa un robot, un robot non fa un essere umano».
Ci sarà sempre una distanza, insomma…
«Non lo decidiamo noi, è la natura a farlo. Vede, se guardiamo all’essere umano pensiamo a un’orchestra di sensi che si muove in modo sinergico, la vista, l’udito, il tatto, eccetera. Questi input sensoriali, che sono miliardi, vengono processati da un cervello che li elabora e fornisce la risposta. E nessuna macchina potrà mai riprodurre un cervello in grado di elaborare questi sensi».
Dunque, lei come lo vede il robot del futuro?
«Soffice, umido, bagnato, fatto di fibra, con un’efficienza energetica elevata e un modello sempre presente davanti a tutti noi».
Quale?
«La natura, dove è già tutto presente. Noi non dobbiamo inventare nulla, ma solo cercare di riprodurla nel miglior modo possibile».
Ma che tipo di macchine andremo a creare?
«Se pensiamo di creare l’essere umano artificiale allora non è più robotica, ma medicina. Entriamo in altri campi, in altre suggestioni che non a caso affascinano da sempre la letteratura e il cinema. Ma noi non puntiamo a creare un essere artificiale, una creatura emotiva biochimica».
E a che cosa puntate allora?
«A una macchina a basso consumo in grado di prendere decisioni sulla base di una intelligenza algoritmica. Un buon compagno del cittadino. Capace di aiutare l’uomo in casa, ma di essere anche utile negli ospedali, per le cure riabilitative. Pensate che fra trentacinque anni gli over sessantacinque saranno il 35 per cento della popolazione dei paesi del G20. Quindi la funzione dei robot sarà fondamentale. Ma io penso anche a macchine in grado di farsi carico di missioni pericolose, nelle zone radioattive, nelle cisterne delle navi, negli ambienti ostili».
Missioni in cui il robot potrebbe anche soccombere… «Lo so, gli uomini finiscono sempre per affezionarsi agli oggetti, finiscono quasi per umanizzarli, parlano con loro, li accarezzano. Ma le assicuro che non avviene il contrario».
E comunque non crede che si sostituiranno all’uomo sul fronte del lavoro?
Sono molti gli studiosi che sostengono questa tesi...
«Succederà il contrario. Sul lavoro i robot avranno sempre bisogno di maestri, di persone chiamate ad addestrarli, a formarli, a sottoporli a manutenzione costante. Noi facciamo una volta l’anno un controllo alla macchina? Se un robot lavora dieci-dodici ore al giorno dovremmo controllarlo una volta al mese. E poi la loro diffusione sarà simile a quella dei concessionari d’auto di oggi, ci saranno rivenditori, manutentori, persone specializzate nei ricambi, e parliamo di centinaia di milioni di pezzi. Attorno a questo mondo si creerà un enorme indotto che arriverà fino alla moda. L’innovazione richiede anche infedeltà, irrequietezza, disponibilità al cambiamento. Non è successo a tutti noi con la telefonia cellulare?».
E quanto passerà da questa tecnologia ai robot?
«Beh, per certi aspetti saranno dei supertelefonini, che con una sim 5G o 6G si collegheranno a un cloud e ricorreranno ad App sempre più sofisticate».
Quale sarà il costo?
«Quando la produzione sarà, diciamo così, di serie, avranno il costo di uno scooter, poche migliaia di euro».
E quando avverrà? Possiamo azzardare una data?
«Fra una decina d’anni avremo già in circolazione i primi prototipi. Per la data le dico 2040».
Ma come si sta attrezzando l’Iit?
«C’è già un fortissimo interesse delle grandi aziende, noi partire- mo presto con una road map. Nel 2017 contiamo di avere pronta la versione 3.0 di iCub, che non sarà più il cucciolo di robot di oggi, cioè un bambino di sei anni, ma una figura alta un metro e trenta centimetri, che sia in grado di aprire uno scaffale, per intenderci. Fra poche settimane avremo pronto il primo prototipo plastico di questo ragazzino, semovente e autonomo. Per ora ci fermiamo qui, anche se lavoriamo su altre piattaforme».
Quali?
«La seconda è Walkman, un robot alto quasi due metri, pensato per incarichi gravosi, la cui gamba ha la potenza di uno scooter 125 e che non ha bisogno di una grande intelligenza perché andrà sostanzialmente teleguidato con un joystick. La terza invece è un quadrupede, pensato anch’esso per gli ambienti complessi».
A chi vi siete ispirati?
«Anche in questo caso abbiamo attinto dalla natura e ci siamo ispirati all’animale che meglio riesce a inerpicarsi nei luoghi più impervi, la capra. La nostra sarà una capra idraulica che salirà dove nessun altro può arrivare. E poi diventerà un bipede, una sorta di centauro che potrà usare le mani. Ma forse la più sorprendente è la quarta».
Di che cosa si tratta?
«Un plantoide, una pianta robotica le cui radici possono penetrare nel corpo umano e correre dentro le sue vene e le sue arterie per portare cura nel punto esatto in cui è necessario intervenire, verso cellule malate, per esempio.
Una sorta di endoscopio intelligente».
Ma saranno sempre e solo macchine, questi robot?
«Il cervello non lo riproduci, queste macchine non avranno mai gli ormoni. Le leggi fondamentali della natura, mangiare, riprodursi, non riguarderanno mai i robot, ma solo la specie umana che ha l’esigenza di riprodursi».
Nessuno penserà mai a farne dei soldati indistruttibili?
«Oggi le macchine da guerra ci sono già, non c’è bisogno di creare un bipede con gambe e braccia e un corpo che oltretutto non sarebbe così veloce, come le bombe cosiddette intelligenti che non sono antropomorfe, ma raggiungono il loro obiettivo. E a fissarlo, quell’obiettivo, è sempre l’uomo, non è mai la macchina».