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 2015  novembre 29 Domenica calendario

Caccia al tesoro libico tra cui le quote comprate da Gheddafi di Unicredit, Eni, Finmeccanica, Fiat, Juventus

Caccia al tesoro libico. È una manovra legale a tenaglia di molti creditori che dal Belgio all’Italia stanno tentando di recuperare i loro soldi. Spuntano 250 milioni su un conto bancario a Parigi. E una fondazione belga, legata alla famiglia reale, ha un credito di 43 milioni. Un avvocato romano ha ottenuto addirittura il pignoramento dell’ambasciata libica presso la Santa Sede. Dopo anni di battaglie nei tribunali europei, ora si susseguono le sentenze esecutive che consentono l’«assalto» al patrimonio dello Stato libico.
Ma per i creditori è quasi una rincorsa ai fantasmi di un «tesoro» che sfugge. O perché dematerializzato, intestato fiduciariamente, o perché «estradato» in banche amiche di Paesi per nulla collaborativi. È il caso delle quote, tramite i fondi sovrani Lia e Lafico, in Unicredit, Eni, Finmeccanica, Fiat, Juventus. La Libia reagisce con i suoi avvocati, sebbene la strategia legale appaia a strappi, in linea con il caos del Paese. I creditori si alleano e così nelle istanze si ritrovano insieme il costruttore piemontese e il trust belga della famiglia reale.
Uno dei più martellanti è una società di Alessandria che aveva una commessa per la costruzione di un’università a Tripoli. Il contratto è stato improvvisamente interrotto, l’azienda ha visto sfumare 9 milioni e ha dovuto chiudere i battenti. Ma un avvocato di Roma, Giuseppe Cignitti, ha preso in mano la pratica e si è messo alle costole dei libici individuando, tra l’altro, vari conti bancari, compresi gli ultimi aperti ad agosto in Unicredit dall’Ambasciata in Italia (e quindi inattaccabili). Ma erano già tutti svuotati. Gli immobili, invece, è difficile farli sparire e così in un paio di palazzi al quartiere Prati di Roma alle 10,50 del 16 luglio scorso si è presentato il custode giudiziario con un’ordinanza esecutiva per pignorare una serie di immobili. Una sorpresa per i libici perché lì c’è l’Ambasciata presso la Santa Sede. Al custode, infatti, sarebbe stato impedito l’accesso ad alcuni locali. L’udienza per la vendita coatta degli immobili è già stata fissata per aprile. Ma è la sede extraterritoriale di un Paese estero, si può fare? «La missione diplomatica ha visto gravemente turbata la propria attività», è la replica per via giudiziaria del rappresentante Mustafa Ali Rugibani che ha chiesto al tribunale civile l’annullamento del pignoramento.
Nelle procedure italiane si è inserita anche la fondazione belga Asbl Global, vicina alla famiglia reale. Aveva un contratto da 70 milioni del 2008, interrotto da Tripoli nel 2010, per il rimboschimento di un tratto di costa. La Libia è stata condannata a pagare ad Asbl 43 milioni. La sentenza è stata resa esecutiva anche in Italia e l’avvocato Paolo Iorio ha già tentato di pignorare le azioni dell’Eni. «Un collega francese – racconta— ha trovato un conto a Parigi della Lia con 250 milioni in contanti. È stato pignorato ma loro hanno fatto ricorso alla Cassazione». È lo stesso legale che il mese scorso ha pignorato all’aeroporto di Perpignan l’aereo extralusso di Gheddafi. Secondo fonti belghe citate dall’avvocato Iorio, due banche del Paese custodivano circa 13 miliardi di euro riconducibili alla Libia. Cifra esagerata da ricondurre forse al ruolo di Euroclear Belgium, depositario centrale internazionale di titoli. Sta di fatto che a ottobre un sedicente ministro libico del governo di Tobruk si sarebbe presentato a Bruxelles pretendendo 400-500 milioni dalla famiglia reale belga. Ovviamente respinto.