La Gazzetta dello Sport, 29 novembre 2015
Interessante questa storia dell’orario di lavoro più o meno da abolire.• Sarebbe? Ieri non ho letto i giornali
Interessante questa storia dell’orario di lavoro più o meno da abolire.
• Sarebbe? Ieri non ho letto i giornali...
L’altro giorno il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, durante un convegno alla Luiss, ha detto che bisogna «immaginare contratti che non abbiano come unico riferimento l’ora-lavoro, che è un attrezzo vecchio. Come si misura l’apporto all’opera, cioè al risultato finale? Se teniamo come riferimento l’ora di lavoro, ci troveremo un freno che blocca la nostra capacità di fare. Credo che sia un tema su cui lavorare». I sindacati hanno risposto subito con veemenza. Persino la Cisl, in genere morbida, ha replicato a muso duro: «È molto meglio che il ministro si concentri sulle politiche attive del lavoro o sull’abuso che si sta facendo dei voucher, piuttosto che dare indicazioni sul modello contrattuale. Poletti lasci lavorare i contrattualisti del sindacato e delle altre parti sociali. Ciascuno faccia il suo mestiere». Posizioni ribadite ieri alla manifestazione dei dipendenti pubblici, non oceanica purtroppo (gli organizzatori parlano di 30 mila adesioni, ma erano molti di meno). Camusso, ieri, dal palco: «Il ministro non conosce com’è fatto il lavoro e vuole apparire come Ufo robot, per risolvere tutti i problemi. Ma le condizioni non vanno che peggiorando. L’idea che ha il ministro è che non ci siano più delle regole per i diritti dei lavoratori. Il ministro non conosce com’è fatto il lavoro, il rapporto che c’è tra la fatica e il tempo dei lavori. Vorrei vederlo a tradurre ciò che ha detto nella concretezza del lavoro quotidiano delle persone. Forse un ministro del Lavoro dovrebbe sapere di cosa parla».
• Beh, l’orario di lavoro ci vuole. Che idea è questa di Poletti?
Credo che il ministro pensi alle tecnologie, che in tante realtà rendono i processi produttivi completamente diversi da quello che erano in passato. Si lavora da casa, si vende e si compra su Internet, per la generazione che sta sotto i 40 anni è normale dialogare con il resto del mondo attraverso lo smartphone (ce l’hanno due italiani su tre). Anche all’interno delle aziende più tradizionali si tende sempre più a valutare i risultati di un dipendente piuttosto che il tempo trascorso in ufficio. Per il pubblico impiego incombe poi la digitalizzazione totale: mi faccio lo stato di famiglia da casa digitando un codice oppure il dipendente risponde a una richiesta di stato di famiglia sempre da casa servendosi della rete. In Estonia hanno smesso di rilasciare certificati cartacei, il mondo è sempre più posseduto da Uber, Blablabla, Amazon, Handy e simili. L’orario di lavoro è funzionale a un sistema produttivo diverso da quello di oggi. È evidente che possono esserci situazioni in cui dell’orario non si può fare a meno (la catena di montaggio, peraltro sempre più automatizzata, l’assistenza degli infermieri in ospedale, i turni della polizia, eccetera), ma è pure chiaro che è sempre maggiore la quota di produttività che non dipende affatto dall’orario. Alla Virgin hanno abolito le ferie, nel senso che il lavoratore può andare in ferie quando vuole e per il tempo che vuole. Basta che porti a buon fine il lavoro che gli è stato affidato. Credo che Poletti pensasse a questo, cioè a una connessione, appunto, tra lavoro e produttività, un mix che per il sindacato non è mai stato semplice da digerire.
• Perché?
Cgil, Cisl e Uil hanno letto subito - e hanno ragione - il senso più politico della battuta di Poletti. Eliminare l’orario di lavoro vuol dire spingere sugli accordi diretti tra l’azienda e il dipendente. Accordi tête-à-tête per dir così, che non hanno bisogno o addirittura ignorano intese raggiunte a Roma tra il sindacato nazionale e la Confindustria. Di più: queste intese potrebbero addirittura essere d’ostacolo ai patti locali. Vede dov’è il primo nodo? Spingere sulla morte dell’orario di lavoro, significa spingere sulla morte della contrattazione nazionale, il rito cioè che giustifica l’esistenza del sindacato così come lo conosciamo. E il governo sta pensando pure al salario minimo, che renderebbe ancora più inutile il contratto nazionale. E poi: Cgil-Cisl-Uil non vogliono che il governo si interessi di queste questioni, che, a parer loro, devono essere regolate in esclusiva dalle cosiddette parti sociali (sindacati dei lavoratori da un lato, Confindustria dall’altro).
• Per i lavoratori, però, non è tutto oro quello che riluce.
A quello che so, la contropartita al non-orario e alla libertà di ferie è in realtà una gran massa di lavoro in più, accompagnata da sensi di colpa quando non si riesce a portare a termine quello che il datore di lavoro si aspetta. È vero. Le angherie dei padroni digitali, protetti dal loro status evanescente, non si contano. Però è difficile difendere chi lavora adoperando gli strumenti del secolo scorso. Nell’epoca dei droni caricati a missili non puoi andare alla battaglia con la corazza di Erasmo Gattamelata.
• Ma allora perché...?
Il sindacato difende la propria sopravvivenza in un mondo che, di fatto, gli è sempre più ostile, gli è sempre più estraneo. Il pericolo dell’irrilevanza è dietro l’angolo.