Corriere della Sera, 28 novembre 2015
«Vent’anni per Martina Levato». La richiesta del pm
Trent’anni di carcere, il massimo della pena possibile, che scendono a venti con lo «sconto dovuto» in rito abbreviato, per lei. Quattordici anni, già diminuiti, per lui. È tardo pomeriggio quando la richiesta del pm Marcello Musso rimbomba nell’aula del processo a carico di Martina Levato e del suo complice Andrea Magnani, accusati di associazione per delinquere e di una serie di agguati con l’acido compiuti insieme all’amante Alexander Boettcher.
La ragazza si prende la testa tra le mani, nasconde gli occhi, per qualche secondo piange ma non intenerisce nessuno. Né i legali né Musso, che prosegue inflessibile la requisitoria davanti al Gup Roberto Arnaldi, chiamato a giudicare. «Martina Levato è ideatrice, promotrice, organizzatrice dell’associazione. Mendace e menzognera, ha ammesso solo ciò che non poteva negare e versa lacrime false come le sue parole», dice in aula, a porte chiuse, il pm. «Con le sue dichiarazioni manipola la verità e tenta di inquinare le prove, anche quando muove a Magnani accuse (..) al solo scopo di scagionare il suo amante Boettcher». Con il terzo uomo, che ha aiutato i due nel loro «perverso progetto criminale» ma ha contribuito in modo cruciale alle indagini, il pm pare meno severo. «Il suo ruolo non può essere paragonabile a quello della coppia», sostiene. Senza il contributo di Magnani l’episodio di Stefano Savi, sfigurato in modo devastante il 2 novembre 2014 per un tragico scambio di persona, «sarebbe privo di responsabili».
Per quell’agguato Martina Levato, pur andando incontro ad una serie di incongruenze, continua a professarsi innocente, ma Musso le riserva parole di fuoco. «È l’episodio più grave perché la vittima, a differenza delle altre, neanche conosceva i suoi carnefici – dice —. Solo per quello, chiederei a carico della Levato 23 anni». Lei sostiene invece la sua estraneità e dice che neanche Magnani era lì, in via Quarto Cagnino, quando nel buio qualcuno ha scagliato addosso a Stefano il liquido che a tradimento gli ha corroso il viso. E perché dice così? Poco prima dell’aggressione, nel cuore della notte, il telefono di Magnani era squillato. A chiamarlo era Boettcher. E dove se ne erano andati, alle quattro del mattino, «se non a compiere quell’atto malvagio?». Il pm non ha dubbi. E neanche i legali di Savi, Andrea Orabona e Benedetta Maggioni, che hanno chiesto un maxi risarcimento da 5 milioni per Stefano e altri 1,5 milioni per la famiglia.
Se per l’agguato a Pietro Barbini, sfregiato con l’acido il 28 dicembre, Levato e Boettcher erano già stati condannati in primo grado a 14 anni con danni riconosciuti per 2,1 milioni, qui si parla di cifre ancora superiori. Stefano ha subito già tredici interventi, ne ha altri davanti, come anche Pietro, che ora si trova a Boston, dove a fatica ha ripreso gli studi.
Poi c’è Giuliano Carparelli, che il 15 novembre 2014 si è riparato con l’ombrello dalla tortura corrosiva che gli era stata assegnata. E Antonio Margarito, la prima vittima, che la Levato ha tentato di evirare nel maggio 2014 salvo poi accusarlo a sua volta di violenza sessuale. Trent’anni per Martina Levato, che diventerebbero venti, al pm Musso sembrano ancora pochi, «inadeguati a rappresentare la gravità delle condotte». Per gli imputati, sottolinea, «è concreto e grave il pericolo di ulteriori comportamenti delittuosi». E colpisce il «totale dispregio» che hanno mostrato nei confronti delle loro vittime.