Quattroruote, 27 novembre 2015
Cosa rimane dello scandalo Volkswagen
Sono passati oltre due mesi da quando è scoppiato lo scandalo Volkswagen. E la vicenda, invece di chiarirsi come sarebbe stato auspicabile, si è fatta ancora più complicata e confusa. L’ondivago atteggiamento della Casa non ha aiutato: freudianamente sospesa fra il desiderio di purificazione dai propri sbagli e la difesa dei propri valori, la VW fa e disfa, afferma e smentisce, avanza e arretra come se in cabina di regia latitasse l’indicazione di una strategia univoca e coerente cui attenersi.
Ne è stata ennesima prova l’ammissione di «discrepanze» nei valori dichiarati della CO₂. Il primo comunicato ha avanzato un vago riferimento al fatto che, durante le omologazioni, i livelli di anidride carbonica di alcune auto sono risultati «troppo bassi». Poi ne è arrivato un secondo, che specificava i modelli coinvolti (per un totale di 400 mila auto, la metà di quanto inizialmente preventivato). Entrambi sono stati capolavori di sibillino equilibrismo dialettico. Nessun accenno, infatti, all’utilizzo di illegali defeat devices; nessuna spiegazione rispetto a che cosa tali valori fossero inferiori. Ennesima gaffe a livello comunicativo? O sagace volontà di spostare il fronte dalla truffa originaria al nodo gordiano della CO₂, che è istanza fondamentale (su di essa, per esempio, si basano le tassazioni di alcuni Paesi nonché i target medi di gruppo dell’Unione Europea) e sull’attendibilità dei cui valori è aperta da tempo una feroce polemica? Difficile dirlo. Senza dubbio l’inopinata menzione (ri)porta sotto la lente d’ingrandimento il problema di come le attuali omologazioni siano frutto di un indirizzo volto più a favorire le Case che non a generare trasparenza.
Lasciamo anche da parte le specifiche di prova irrealistiche e il derivante divario che tutti osservano fra il dato certificato in laboratorio e il rilevato su asfalto. Il vero problema è come tali omologazioni vengono fatte. Secondo una prassi quantomeno discutibile, le automobili sono certificate dagli stessi costruttori, affidando il compito a società esterne pagate per questo oppure direttamente, fatto salvo l’imprimatur formale degli enti regolatori (la Volkswagen ha ottenuto dalla KBa, la Motorizzazione tedesca, il nulla osta per il proprio laboratorio interno e lì svolge le omologazioni, sotto lo sguardo – a quanto pare talora distratto – di tecnici terzi). È palese che tale procedura, giustificata soltanto in parte dal fatto che i singoli Stati non hanno sufficienti danari da investire in attrezzature di controllo specifiche, lascia troppo spazio a eventuali comportamenti disdicevoli. L’unica possibilità è far nascere un’authority indipendente che, gestita dall’Unione Europea, certifichi tutti i veicoli, sottraendo ai produttori una discrezionalità che genera soltanto distorsioni. Vedremo se davvero verrà creata.
Certo è che l’inevitabile conseguenza del Volkswagengate sarà una stretta normativa per l’intero comparto automotive, con buona pace di chi si riteneva impermeabile agli schizzi dell’iniziale inganno e sosteneva con malriposta alterigia che erano guai della sola Wolfsburg. La KBa ha messo sotto esame 50 modelli diesel di 23 diverse Case, già annunciando discrepanze negli NOx per alcuni di questi; mentre negli States l’Epa, che la vulgata vuole da sempre prona agli interessi di Detroit & Co., ha preso coraggio e – supportata dall’amministrazione Obama ha intenzione di controllare le vetture nuove di tutte le Case. Non a caso in Europa le lobby si sono già attivate per stoppare le prime offensive regolamentari. Se ne è avuta testimonianza quando l’UE ha cercato di rendere più severe le norme che saranno utilizzate a partire dal settembre 2017. La commissaria all’Industria, Elzbieta Bienkowska, aveva richiesto che la tolleranza sulle emissioni di ossidi d’azoto delle diesel misurate su strada (la vera novità) rispetto a quelle valutate sui rulli non superasse il 60%. Risultato, dopo il pressing delle Case? Si potrà arrivare al 110%. Uno schiaffo all’indignazione popolare scaturita dallo scandalo. Ma i parlamentari di Bruxelles già promettono battaglia in aula...