Origami, 26 novembre 2015
Mettere in discussione Angela Merkel
È il momento della verità per Angela Merkel. Sei mesi fa nessuno lo avrebbe immaginato. Non sono in gioco semplicemente la sua posizione di cancelliera, la sua credibilità e autorevolezza politica, la sua popolarità. È coinvolta la sua persona in profondità.
Il giudizio politico su Angela Merkel ha sempre avuto una componente fortemente personalizzata. Dall’epiteto ironicamente popolare di Mutti/mammina alla versione più sarcastica dei conservatori di mater patriae sino al Merkiavellismus dei critici da sinistra “La donna più potente del mondo” (come ancora si ripeteva sino qualche mese fa) ha unito con naturalezza il tocco di sorridente sicurezza personale con il piglio dell’autorevolezza. Ma la strategia vincente della cancelliera è stata singolare e tipica affrontare gradualmente un problema, riflettervi attentamente, temporeggiare sino all’ultimo. Lasciar montare il problema – sino a creare il sospetto di indecisione. Discutere, dibattere, insistere, implicitamente anche minacciare – ma senza mai rompere. E quindi decidere perentoriamente. La Merkel è (stata) maestra in questa strategia con i partner europei, imponendosi alla fine anche grazie ad un linguaggio semplice ed efficace. La frase «se fallisce l’euro, fallisce l’Europa» farà storia. Frau Merkel non è una grande oratrice. Ma sa trovare le parole giuste. Anche nel settembre 2015 davanti alle violente contestazioni della sua decisione di aprire le porte alle centinaia di migliaia di migranti, profughi, richiedenti asilo. «Nessuna tolleranza per chi mette in dubbio la dignità di altri uomini e non è pronto ad aiutare quando è richiesto da umanità e diritto». Ma la sua decisione, inattesa, non ha raggiunto l’obiettivo, a dispetto di una iniziale euforia. Ad essa è seguita una sua drammatica precisazione: «Se ora noi dobbiamo incominciare a scusarci di aver mostrato un viso amico a chi è in situazione di necessità, allora questo non è il mio paese». Ma la sua parola d’ordine di rassicurazione, sempre ripetuta – «Noi ce la faremo» – questa volta non ha funzionato come sperava “Il mio paese” di Angela Merkel reagisce più per rassegnazione che per convinzione. Per settimane la cancelliera è stata sottoposta a continue pesanti critiche da parte di giornali e di firme pubblicistiche che per anni erano state al suo fianco. Si è trovata isolata nel suo stesso governo, con il ministro degli interni Thomas de Maizière in una posizione critica, anche se intenzionalmente costruttiva. Ma soprattutto si è trovata davanti ad un crollo di popolarità, che per lei vale molto di più di un indicatore demoscopico che scende e sale. Forse per la prima volta Frau Merkel si sente insicura e colpita nella sua convinzione di possedere un feeling speciale con la sua gente.
In tema di emigrazione e di asilo alla fine sembra delinearsi un compromesso tra l’intoccabilità del principio del diritto d’asilo, senza artificiosi “tetti di accoglienza”, e ragionevoli forme di controllo e respingimenti per i non aventi diritto. Ma con la strage di Parigi e con 1’annullamento della partita di calcio ad Hannover (cui la cancelliera avrebbe dovuto presenziare) il clima di paura diffuso in Germania è palpabile. L’associazione del nesso tra terrorismo e immigrazione di massa è sempre negata ma sempre sussurrata. In più la cancelliera deve fare i conti con la collocazione strategica da assegnare alla Germania nel fronte di solidarietà con la Francia nella “guerra contro il terrore”. È davvero il momento della verità per la donna di governo che ha fondato il suo successo e la sua popolarità sulla rassicurazione che la Germania è sulla strada giusta ed è diventata “la nazione di riferimento”. I tedeschi, invece, improvvisamente si sentono insicuri e inquieti.