Avvenire, 27 novembre 2015
La passione degli scrittori per il calcio. Storie di ultras con la penna
Hemingway se ne andava a caccia, a pesca e a tifare nelle arene spagnole. Charles Bukowski faceva fuori i risparmi negli ippodromi. Piazzati e vincenti, andava bene tutto. Philip K. Dick, duemila chilometri sfrecciando in auto (da pilota di rally o di Formula 1) per recuperare un vinile di jazz. Tutti alla ricerca di una passione che li distogliesse dal demone della scrittura, almeno qualche ora al giorno. E a ben guardare anche l’intellettuale più estremo ha in sé il bisogno di dare libero sfogo a quelle passioni che tornano buone nel momento in cui si siederanno a buttar giù parole.
Le passioni puoi reprimere, puoi abitare i salotti più esclusivi di Milano o di Roma, ma alla fine devi scrollarti di dosso la “scimmia”. Il calcio è una delle possibili valvole di sicurezza. Per molti è la valvola. Ci sono gli scrittori appassionati di calcio e quelli che mostrano il vessillo del tifo spaccando il capello fazioso-calcistico in quattro più che se si trovassero davanti all’esegesi di un testo di Plutarco. E qui non parliamo solo dei vari Cass Pennant, scrittore ed ex capo ultrà del Tottenham, o di John King, innamorato senza remore del Millwall e autore di Fedeli alla tribù e Fuori casa, dove narra le vicende degli hooligan inglesi che arrivano a Berlino con la Union Jack sulle spalle al grido di «due guerre mondiali e una Coppa Rimet!» Qui tiriamo in ballo anche le patrie appartenenze a un calcio che ha radicalizzato uomini al di sopra di ogni sospetto.
Umberto Saba, seppur anziano, per la Triestina avrebbe fatto il giro dell’isolato in pantofole sventolando la caffettiera che faceva fuori ascoltando i risultati alla radio. Uno come Pasolini ad averlo potuto fare avrebbe inserito nel cast di Uccellacci e uccellini Giacomo Bulgarelli e tutto il Bologna dell’ultimo scudetto del ’64 (unico spareggio-tricolore vinto contro l’Inter di Helenio Herrera).
In tema calcistico c’è di tutto nel mondo delle lettere. Ci sono gli appassionati che si esaltano per le prodezze degli eroi del calcio come Carmelo Bene che metteva più trasporto nel parlare di Marco van Basten che di Nostra signora dei turchi. O Paolo Sorrentino che pur di girare un film su Diego Armando Maradona avrebbe pagato di tasca sua la produzione e ne L’uomo in più si è ispirato alla fine precoce di Agostino Di Bartolomei. Allargando il giro, non sfugge alla regola del gol neanche un intellettuale di rara purezza come Albert Camus: «Tutto quello che so sulla moralità e sui doveri degli uomini, lo vedo al calcio». Alcuni narratori sono tifosi accaniti, quelli che vedono un’altra partita e non quella che s’è giocata. Una partita vista con gli occhi dell’amore. Tim Parks, natali targati Old Trafford e adozione scaligera, follemente innamorato dell’Hellas Verona. Osvaldo Soriano deve aver goduto come non mai quando il “Pibe de oro” ha impallinato gli inglesi segnando un gol di mano. «La mano di Dio» per Soriano era la vendetta degli dèi per le nefandezze britanniche sugli scogli chiamati Falkland o Malvinas a seconda della sponda di appartenenza.
Una delle squadre italiane che vanta il maggior numero di “scrittori ultrà” è senza dubbio la Lazio. Sugli spalti la compagine biancoceleste può schierare una formazione di tutto rispetto: Albinati, Picca, Piperno, Trevi, Cordelli, Montefoschi, La Porta, Governi e Carlo D’Amicis autore di un libro splendido su Re Cecconi ( Ho visto un Re). E a capo di questo gruppo di irriducibili la squadra di Formello potrebbe piazzare a pieno titolo Marco Lodoli, un vero estimatore, anzi un tifoso competente dei colori biancocelesti. E per uno scrivano che tifa Taranto? Meglio continuare a scrivere.