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 2015  novembre 27 Venerdì calendario

Novant’anni senza La Rivoluzione Liberale di Gobetti

Ricordando Piero Gobetti sul numero sette dei Quaderni di Giustizia e Libertà, nel 1933 Carlo Levi affermava che La Rivoluzione Liberale, fondata da Piero nel 1922, era “la più bella rivista politica che sia mai uscita in Italia”. Dopo averne sequestrato più numeri, le autorità fasciste la soppressero definitivamente nel novembre del 1925, novant’anni fa, e il questore di Torino vietò a Gobetti, aggredito e picchiato dagli squadristi nel settembre del 1924, di intraprendere qualsiasi attività pubblicistica ed editoriale. Per il giovane intellettuale antifascista, che era nato a Torino il 19 giugno 1901, cominciarono a consumarsi gli ultimi frammenti della sua breve esistenza.Nel giugno del 1924, in un dispaccio al prefetto torinese, Benito Mussolini aveva ordinato di rendere “nuovamente difficile vita questo insulso oppositore governo e fascismo”. Così si fece. Costretto all’esilio, e lasciati a Torino la moglie Ada e il figlio Paolo appena nato, Piero partì per Parigi il 6 febbraio del 1926. Dieci giorni dopo era morto. Si ammalò gravemente di bronchite e fu ricoverato in ospedale. Se ne andò nella notte fra il 15 e il 16 febbraio 1926.
La doppia ricorrenza, con i novant’anni dalla cancellazione della rivista e i novanta, nel 2016, dalla morte di Gobetti, viene onorata dal Centro studi Piero Gobetti di Torino, che ha sede nella casa di via Fabro abitata da Piero e Ada, con una nutrita serie di manifestazioni che si stanno definendo in questi giorni.
Culmineranno, l’anno prossimo, con alcuni appuntamenti in programma a Parigi, la città in cui l’autore de La rivoluzione liberale, saggio sulla lotta politica in Italia, uscito nel 1924, è sepolto.
Ma già nel corso del 2015, in cui verranno ricordati anche il novantesimo anniversario della nascita di Paolo Gobetti, il figlio di Piero, critico cinematografico e regista, scomparso nel 1995, vi sono state delle iniziative significative. Una di queste è la pubblicazione, per la prima volta in un volume autonomo, dell’Appello ai meridionali di Guido Dorso (1892-1947), che il meridionalista e antifascista di Avellino aveva elaborato in diversi articoli per La Rivoluzione Liberale.
Promossa dal Centro studi Gobetti e da Aras Edizioni, con una prefazione di Pietro Polito e una postfazione di Francesco Saverio Festa, la raccolta dei saggi di Dorso testimonia, da un lato, il suo legame stretto con la rivoluzione politica e morale teorizzata da Gobetti e, dall’altro, quel suo sogno di riscatto del Mezzogiorno che Gobetti aveva definito una “concezione d’intransigenza preoccupata di salvare la serietà della lotta politica futura”.
Gobetti, per citare ancora l’articolo di Carlo Levi (ristampato nel volume di Einaudi degli Scritti politici), nei pochi anni di vita che gli erano stati concessi aveva incarnato, in modo unico in Italia, “compiutamente e con tanta forza concreta la morale della libertà”. Continuava Levi: “La libertà, l’aspro, consapevole sforzo di autonomia, costituiscono l’unità della figura di Gobetti, sia nella sua vita morale, sia nel suo pensiero, sia nella sua azione politica”.
Si era formato nel segno della “religione della libertà” di Vittorio Alfieri e di quel Risorgimento piemontese senza eroi, dal titolo di un suo libro postumo, di cui Camillo Benso di Cavour era un riferimento preciso.
Il suo liberalismo eclettico, antidogmatico, innovatore sul piano dell’azione, non solo dei concetti, influenzò fin da subito un gruppo di giovani che, come scrisse Dorso, volevano preparare “il clima politico adatto per la distruzione dell’Italia storica, e per la creazione ideale sognata negli albori del Risorgimento”. Non si trattava certamente degli “ideali” di un Curzio Malaparte.
Il futuro autore di Kaputt, del quale Gobetti aveva pubblicato un libro per la sua casa editrice, molto italianamente gli consigliava nel dicembre del 1925: “Rimani pure come signor Gobetti, antifascista, se ciò ti fa piacere, ma d’ora in poi, come editore, come ditta, non ti occupare più di politica, non pubblicare più volumi antifascisti, lascia perdere queste porcherie e buttati a corpo morto nel campo letterario e artistico, storico e filosofico”.
Piero fece esattamente il contrario.
In procinto di lasciare Torino per Parigi, sul finire del 1925, scriveva a Giustino Fortunato: “Parto per Parigi, dove farò l’editore francese, ossia il mio mestiere che in Italia mi è stato interdetto. A Parigi non intendo fare del libellismo e della politica spicciola, come i granduchi spodestati in Russia. Vorrei fare un’opera di cultura nel senso del liberalismo europeo e della rivoluzione moderna”. Non gliene lasciarono il tempo.
Molte delle idee di Gobetti sarebbero state assimilate da Giustizia e Libertà e dal Partito d’Azione.
Poi, tramontata presto la stagione degli ideali della Resistenza, come raccontò magistralmente Carlo Levi ne L’Orologio, l’Italia di sempre prevalse di nuovo: l’Italia dei furbi e dei voltagabbana combattuta da Norberto Bobbio, da Alessandro Galante Garrone e dai vecchi azionisti.