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 2015  novembre 27 Venerdì calendario

Ricordate il caso Shalabayeva? Ora otto poliziotti sono finiti sotto indagine

Un avviso a comparire con un capo di imputazione clamoroso: sequestro di persona, oltre al falso. È il caso giudiziario di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Ablyazov espulsa dall’Italia il 31 maggio del 2013.
L’avviso è stato recapitato al questore di Rimini, Maurizio Improta, al capo dello Sco (servizio centrale ispettivo), Renato Cortese, ad altri cinque poliziotti e al giudice di pace di Roma Stefania Lavore. Il capo di imputazione è stato inviato dalla procura della Repubblica di Perugia, guidata da Luigi De Ficchy, che stava indagando sul giudice Lavore dopo aver ricevuto per competenza il fascicolo dai colleghi di Roma. Il reato ipotizzato per gli inquirenti romani però era il falso: nessuno si attendeva che il livello dell’accusa salisse così in alto.
La prossima settimana gli indagati dovranno presentarsi in procura a Perugia per essere sentiti. Oltre a Cortese, Improta e Lavore, il provvedimento è scattato per Luca Armeni e Francesco Stampacchia, all’epoca rispettivamente dirigente della sezione criminalità organizzata e commissario capo della squadra mobile di Roma, Vincenzo Tramma, Laura Scipioni e Stefano Leoni, tre poliziotti in servizio presso l’ufficio immigrazione.
Quell’espulsione della Shalabayeva, insomma, nonostante tutte le documentazioni fornite dagli uomini della Polizia di Stato, Improta in primis, non convince la procura di Perugia.Già la Cassazione, nel luglio dell’anno scorso, l’aveva definita viziata «da manifesta illegittimità originaria». Il punto è che il reato di sequestro presuppone uno o più mandanti. Tra le ipotesi in campo, quella che la presunta operazione di sequestro della moglie del dissidente kazaco sarebbe stata compiuta dai poliziotti insieme a una serie di funzionari dell’ambasciata del Kazakistan. A Roma, però, gli inquirenti erano giunti a conclusioni opposte: con una richiesta di archiviazione al gip nei confronti di tre rappresentanti diplomatici del Kazakistan (l’ambasciatore a Roma Andrian Yelemessov, il consigliere degli affari politici Nurlan Khassen e l’addetto agli affari consolari, Yerzhan Yessirkepov) indagati per sequestro di persona.
Per il pm romano Eugenio Albamonte dalle indagini non erano emerse le prove di pressioni e interferenze che i tre diplomatici avrebbero esercitato sui funzionari della Questura e del Viminale quando la signora Shalabayeva e la piccola vennero prelevate dalla loro casa alle porte di Roma. La procura capitolina, invece, aveva iscritto nel registro degli indagati cinque poliziotti dell’ufficio immigrazione per falso ideologico e omissione d’atti d’ufficio. Renato Cortese dichiara all’Ansa: «Sono assolutamente sereno e ho la massima fiducia nell’operato della magistratura – ha detto Cortese – sono fiducioso di poter chiarire al più presto la mia posizione»