Il Sole 24 Ore, 27 novembre 2015
Oro e franco svizzero non sono più i beni rifugio di una volta
«Non esistono più i beni rifugio di una volta». Parafrasare un tipico adagio nazionalpopolare potrà sembrare forse irrivente, ma si avvicina molto alla realtà. E il comportamento durante i giorni che hanno seguito gli attentati di Parigi fino all’abbattimento del caccia russo da parte della Turchia delle classiche attività in cui (un tempo almeno) si cercava riparo nelle fasi di tempesta ne è la conferma: pochi i movimenti anomali di oro, Bund e franco svizzero, tanto per citare alcuni dei più classici rifugi in passato, e quasi sempre annullati nelle sedute successive.
Qualcuno potrebbe ribattere che sui mercati di bufere tali da indurre gli investitori a cercare un tetto sotto cui ripararsi in fondo non ce ne siano state. Si tratta di un’obiezione che a pensarci bene ha il suo fondamento, perché i beni rifugio non esistono più principalmente perché a non esistere più è la volatilità sui listini stessi, soffocata dalle mosse ultra-espansive e non convenzionali delle Banche centrali. Si pensi per esempio a ciò che sta avvenendo per i titoli di Stato dell’Eurozona (e quindi anche dei Bund): con il suo «Qe» la Bce agisce come acquirente di ultima istanza, livellando i tassi di interesse e finendo indirettamente per limitare anche le oscillazioni dei listini azionari.
Si può obiettivamente pensare che tutto questo sia tendenzialmente positivo, se non fosse che oltre alla volatilità le Banche centrali hanno finito anche per annullare la percezione del rischio da parte degli investitori e per appiattire le oggettive differenze fra gli emittenti. «Se i titoli di Stato a due anni di Germania, Spagna e Italia hanno tutti e tre rendimenti negativi, è nulla la percezione del rischio emittente, che è in realtà oggettivamente diverso per i tre Paesi», spiega Gabriele Roghi, responsabile della consulenza agli investimenti di Invest Banca.
E in assenza di una percezione del pericolo adeguata (in senso finanziario, s’intende) viene anche a mancare un parametro di riferimento fondamentale per un risparmiatore. «Non si hanno più a disposizione quegli elementi che fornivano un preavviso su quando stavano montando dei rischi, in grado di fornire indicazioni di uscita o copertura di un certo mercato», aggiunge Roghi. In altre parole, tagliando artificialmente le oscillazioni che tanto spaventavano i mercati si eliminano anche quelle situazioni che potevano tornare utili per calibrare in modo migliore i portafogli di investimento.
Il problema, infatti, è che la volatilità è sì stata soffocata ma non è certo stata eliminata, anzi. «Comprimerla in questo modo può farle accumulare una forza non dispiegata che romperà la diga in uno sfogo che potrà essere anche devastante», avverte ancora Roghi. E se l’exit strategy delle Banche centrali non dovesse rivelarsi adeguata, anche i «beni rifugio», quelli di un tempo o nuovi, potrebbero tornare di moda.